Archivio mensile:Gennaio 2015

Brevi ragguagli su alcuni aspetti della poetica di Salvatore Di Giacomo

 

 

Salvatore Di Giacomo, in tutta la sua opera, ha espresso il senso drammatico e gioioso insieme, che caratterizzava l’anima del popolo napoletano e le bellezze naturali della città partenopea. E’ stato capace di raccogliere quei colori, quella musicalità e quella poesia, tipicamente napoletani, sui fogli di carta prima e, poi, musicati da compositori, negli spartiti musicali. Prostituzione, malavita, miseria, bassi, vicoli, umanità sofferente, umanità gioiosa, amore, passione, vi erano rappresentati con una vivacità quasi teatrale. Il sapiente uso del dialetto, così dolce e musicale, tuttavia, perfettamente vero e veridico, faceva di un raffinato intellettuale, un piccolo 03-DI-GIACOMOborghese che si calava nello spirito e nell’anima di un popolo e ne diventava cantore, con un realismo senza pari, esprimendo, nei versi, le sfumature e le sfaccettature peculiari di una plebaglia, di quel ventre di Napoli (Matilde Serao), che, così, acquistava dignità poetica. La grandezza e l’importanza dell’opera di Di Giacomo, rispetto al popolo napoletano, è stata duplice: da un lato, proprio per la sua condizione di piccolo borghese, stupiva la capacità descrittiva di un mondo che doveva, per nascita, per storia personale e per educazione, non appartenergli, ma che, evidentemente, sentiva visceralmente suo; dall’altro, il lascito poetico, divenuto lo specimen di quel mondo. Nessun altro aveva saputo, fino agli inizi del Novecento, diventare un così abile e mirabile testimone poetico del popolo napoletano. La poetica di Di Giacomo risentiva, certamente, degli influssi del Verismo, il movimento letterario che, ispirandosi al Naturalismo francese, aveva pervaso la letteratura italiana della seconda metà dell’Ottocento. L’Autore, comunque, aveva interpretato il Verismo o, meglio, lo aveva adattato alla propria sensibilità, alla propria condizione e all’ambiente, nel quale si era trovato a vivere. Di Giacomo, infatti, rispetto a Giovanni Verga, maggiore esponente del Verismo, il quale riproduceva la realtà in modo diretto, crudo, impersonale, tale da rendere i suoi personaggi protagonisti di storie volte a mostrare quadri di decadenza, di fallimento, di impotenza, nei confronti degli eventi, ancorché di passiva e fatale accettazione degli stessi, tratteggiava, dipingeva i suoi personaggi e le loro storie con la fresca aria del mattino, con i raggi tenui della luna, con una petrarchesca idealizzazione di tipi e di modi, che sembravano cristallizzati in una realtà fuori dal tempo, grazie all’uso del dialetto napoletano, dolce e raffinato, il cui impiego aveva lo scopo non della mera rappresentazione, quanto piuttosto del vero che diventa musica, timbro, colore e sensazione, alla maniera dei pittori impressionisti. Il Verismo diciacomiano non era un Verismo dall’interno, non era la voce diretta del reale che agiva, ma era lo sguardo dell’autore su quelle azioni. Nella poesia di Di Giacomo, era senza dubbio il reale a produrre l’evento e il movimento della storia, ma era l’autore a darne contezza, inevitabilmente, riproducendolo attraverso il suo vissuto e la sua visione del mondo. Ciò era antitetico al napoli-comera-libromodus scribendi schiettamente verista (Giovanni Verga, Luigi Capuana, Federico De Roberto), nel quale l’autore diventava mero narratore di realtà che erano completamente al di fuori di esso e senza alcun contatto con esso. Per quanto riguarda il rapporto con le donne, pur volendo attribuire una fortissima valenza al legame di Di Giacomo con la madre (si sarebbe sposato tardi, nel 1916, dopo la morte della madre), non era divenuto così totalizzante nella sua visione della donna e nel suo rapporto con essa. Si poteva ipotizzare una incapacità, da parte del poeta, di sostituire, nel suo cuore, l’immagine della madre, con quella di un’altra donna, in grado di occupare un posto altrettanto importante. Con il rischio, tuttavia, di giudicare le donne cantate dal poeta nient’altro che la stessa rappresentazione, con caratteri diversi, della madre. Quelle donne, quindi, sarebbero state figure femminili fittizie, meri artifici della sua poesia. C’era anche chi, tra gli stessi amici e colleghi, leggeva la presenza delle donne, nell’opera digiacomiana, come strettamente collegata al suo concetto di amore. Le donne, in Di Giacomo, diventavano lo strumento con il quale il poeta offriva se stesso e i suoi sentimenti al mondo, rappresentando l’amore nei suoi molteplici aspetti, tutti umani. In questo caso, la stessa varietà delle figure femminili di Di Giacomo rifletteva l’umanità del suo sentimento amoroso, che si manifestava inquieto, instabile, dispettoso e a tratti doloroso. L’amore era intenso, malinconico e perduto nelle tante sfaccettature della vita quotidiana. Le donne e l’amore, in Di Giacomo, erano l’aspirazione alla personificazione, non cosciente, di un desiderio molto più complesso: ricercare e concentrare l’essenza dell’umanità. Quasi una galleria-museo, dove erano esposti i diversi quadri dell’amore, tutti rappresentati attraverso donne diverse, con storie diverse, con passioni diverse. Donn’Amalia ’a Speranzella, la donna colta nell’atto di friggere le frittelle e l’osservatore che l’ammirava, desideroso della sua bellezza; Zì munacella, una ragazza che, per salvare il suo innamorato, condannato a morte per aver commesso un delitto passionale, si digiacomo-elisaaviglianofaceva monaca, senza sapere che quel delitto non era stato consumato per lei, ma per un’altra donna; Palomma ‘e notte, una donna-farfalla, la quale, per esercitare la propria libertà, rischiava di bruciarsi: Carolina era come una farfalla che girava e rigirava intorno a una candela che la attraeva, come se fosse stata un fiore, nonostante il poeta la mettesse in guardia dal prendere fuoco; ‘E ttrezze e Carulina, dove il poeta, con dispetto, esortava il pettine della donna desiderata a strapparle tutti i capelli, lo specchio nel quale ella si mirava ad appannarsi, le lenzuola ad infuocarsi e pungere le sue carni, le piante sul tetto della casa a farsi trovare seccate. Ma, poi, il poeta si mostrava felice di constatare che, nella realtà, avvenisse il contrario. Le donne, in Di Giacomo, assumevano, però, anche caratteri cupi, che le legavano al concetto di morte. La dolce sensibilità del poeta, il suo carattere fragile e mite, capace di soffrire e di far soffrire, e la sua paura del mondo, si esprimevano proprio in queste immagini di donne e morte, donne e dolore, come “Carmela”, ormai sposata, che sembrava aver dimenticato il primo amore, raccontato in un crescendo di ricordi e di gesti; come Tarantella scura, in cui veniva narrata una vicenda di vita e di sangue, o, ancora, in Femmene, femmene!, dove le donne prima ammaliavano e, poi, facevano disperare.

 

 

 

Sustainable and Responsible Investement: la civilizzazione dell’economia

 

Quando si parla di SRI (Sustainable and Responsible Investement) ci si riferisce ad un processo di investimento che combini gli obiettivi finanziari di un investitore con l’attenzione alle questioni Environmental, Social and Governance. Ancor più precisamente, si parla della gestione di risorse finanziarie, attraverso l’acquisto e la vendita di titoli, e l’esercizio dei diritti connessi alla proprietà degli stessi. Ciò non vuol dire che responsabilità sociale e sostenibilità non possano essere applicate anche ad altre pratiche finanziarie ma, semplicemente, che l’SRI non è coincidente con il più vasto universo della Finanza Etica, di cui ne è, piuttosto, una parte. Se, da un lato, la teoria economica tradizionale ha da sempre osteggiato le pratiche SRI, ritenute non ottimali in termini di allocazione delle risorse, in quanto gli obiettivi metaeconomici colliderebbero con quelli economici (ogni vincolo imposto alla diversificazione del portafoglio va a ridurre la redditività dell’investimento), dall’altro, gli studi promossi sull’andamento del mercato SRI (per l’Europa si guardi agli studi condotti dall’Eurosif) hanno dimostrato come negli ultimi dieci anni il comparto degli investimenti sostenibili abbia mostrato tutte le sue qualità dinamiche e innovative. Non a caso, nell’European SRI Study 2014, il primo dato evidenziato è la continua crescita a doppia cifra di tutte le strategie SRI, messe in atto dai diversi operatori, ad un ritmo ben più veloce rispetto al mercato del risparmio gestito tradizionale. Volendo dare una spiegazione al trend dello scorso decennio, bisogna necessariamente interrogarsi su dove stia andando il capitalismo conosciuto. La chiave di lettura, come suggerito da S. Zamagna (Creare valore a lungo termine, 2013), è da ricercare nel nuovo modello di economia di mercato, noto come “capitalismo condiviso” (shared capitalism), che si sta affermando, da anni, in occidente. D. Kruse et Alii (Shared capitalism, 2012) definiscono tale modello come un sistema di incentivi organizzativi, che mira ad allineare gli interessi dei dipendenti e quelli dei proprietari, attraverso la condivisione del residuo e della partecipazione dei dipendenti ai processi decisionali, nonché, più in generale, ad allineare tra loro gli obiettivi degli shareholders e degli stakeholders. Le evidenze empiriche hanno dimostrato che, quando applicato, se pure parzialmente, questo modello accresce significativamente il valore degli indicatori di performance aziendale. In un mondo che sta andando in questa direzione, è evidente che per la creazione di valore e, quindi, di ricchezza durevole nel tempo, sono necessarie la collaborazione e la convergenza di interessi fra imprese, amministrazioni pubbliche e società civile organizzata. In altre parole, non è più immaginabile una contrapposizione fra valore economico e valore sociale delle azioni, posta in essere dai diversi attori che operano sul mercato. E’ questo il significato ultimo dell’SRI: spostare l’interesse dal massimo profitto di breve periodo al massimo valore realizzabile e sostenibile in un’ottica di lungo periodo, giocando, così, un ruolo strategico nel graduale processo di civilizzazione dell’economia.

Giuseppe De Simone

 

Primus

 

Una delle più eccentriche band degli anni ‘90. Capitanati dal bassista Les Claypool, hanno avuto la genialità di creare un sound personalissimo e originale, partendo dagli strumenti essenziali del rock: la chitarra, il basso e la batteria. Questa è stata la loro più grande forza, perché nei ‘90, a parte l’essenzialismo strumentale del grunge, le grandi innovazioni del rock sono avvenute attraverso contaminazioni con altri generi, in primis hip hop ed elettronica. Nei suoi Primus, Les Claypool, chiaramente influenzato  dal progressive rock dalla psichedelia degli anni ‘70, propone un rock molto vivace e divertente, a tratti demenziale, a tratti malato e paranoico. Ascoltandoli, l’attenzione dell’orecchio si posa subito sul suo basso, quasi ipnotico, che stupisce nota dopo nota. Ma, nonostante questo strumento la faccia da padrone, la chitarra di Larry LaLonde e la batteria di Tim Alexander sono certo sue comprimarie. Assolutamente da non sottovalutare, infatti, esse sono parti essenziali della band che forse più di tutte, negli anni ‘90, ha fatto di testa propria, non curandosi affatto della moda, di quanto chiedevano i discografici e imponendosi sulla scena musicale come una delle formazioni più esclusive e aggressive, quasi un’istituzione del decennio in cui, secondo alcuni, sarebbe morto il rock. La band ha pubblicato undici album, quasi tutti capolavori.  Tra questi, Tales from the punchbowl, Interscope Records, 1995  (foto a sinistra). Nulla di certo, ma pare che il titolo dell’album sia un omaggio ad una serie di leggendarie feste, tenutesi nei dormitori dell’Università di Berkeley, durante le quali veniva servito del punch corretto all’Lsd. Ecco cosa si respira ascoltando le storie della tazza del punch. Di sicuro storie strane, i cui protagonisti sono folletti e altri esseri mitologici. E di sicuro i Primus, presenti a quei party, ne hanno ascoltate diverse, tanto da esserne ispirati per quest’album, uno dei migliori, se non il migliore della loro carriera. Diciamolo francamente: il disco è un trip meraviglioso! images99G0N5TBComincia in bellezza, con una opener che è quasi una jam session, lunga, potente e aggressiva, per sfociare in svariati pezzi dalle mille influenze, in primis psichedeliche, ma anche progressive, hard rock, dark. Tra questi, spiccano per genio, Southbound Pachyderm (ascolta), paranoica e distorta, introdotta da un ipnotico giro di basso, che accompagna tutto il pezzo, e Wynona’s Big Brown Beaver (ascolta), uno dei successi storici della band, nel cui video i componenti sono vestiti da cowboy. Da segnalare anche Over The Electric Grapevine (ascolta), che, non a caso, parla di un viaggio in macchina sotto effetto dell’Lsd. Malata, paranoica e ossessiva. I tre aggettivi che meglio definiscono la musica di questo meraviglioso lavoro in studio. Un disco da ascoltare tutto d’un fiato. Un disco che incanta e stupisce, che a tratti inquieta, a tratti mette i brividi, ma mai è banale, mai scontato. Un capolavoro degli anni ‘90.

Pier Luigi Tizzano

 

 

Aforisma della sera

Quanto è poco materna la donna, oggi. È nella maternità che essa sublima la sua natura superiore, non negli smalti o nei belletti, nei tacchi e nelle silhouette filiformi. Bisognerebbe tornare ai tempi in cui Tiziano dipingeva le sue Veneri e, molto più indietro, al matriarcato delle società delle origini, quando gli uomini veneravano, nella Dea Madre, il grembo della Donna Madre.

Victoria Embankment

 

 

Tra quelle panchine di ferro scuro,
i lampioni dorati,
i leoni di bronzo accucciati sugl’argini
e i palazzi maestosi di marmo bianco,
lo sfavillio di riverberi biondi, ad aprile,
sulla superficie verdastra dell’acqua,
abbaglia, lungo Victoria Embankment.
Londra,
prima rosa d’amore,
tempio d’amor sventurato,
talamo violato da un destino beffardo
che né io, né tu, abbiamo voluto cambiare,
forse già scritto,
tra le pieghe di una tunica scura
indossata per forza,
e i vicoli stretti che portano a Bartholomew Close.
 
E’ buio.
Non s’ode un rumore,
se non un sospiro affannato.
Il Tamigi accompagna il mio cammino notturno
per l’ultimo requiem di un sogno,
trasportando il mio pianto
e i pappi degli alberi in fiore.


Giuseppe-De-Nittis-The-Victoria-Embankment-LondonGiuseppe De Nittis, “The Victoria Embankment” (1875)

 

Notturno con effetto di luna

 

 

Guardarti.
Provare a sfiorarti mentre dormi,
baciare i tuoi gomiti,
toccarti le labbra col dito
intinto delle lacrime della mia stupidità.
Fissare i tuoi occhi chiusi,
carezzarti i capelli argentati dalla luce della luna,
disegnare i contorni del tuo volto diafano.
 
Ti muovi,
le tue mani s’intrecciano,
non oso svegliarti.
Sono io che son sveglio.
Perdonami.
L’alba.

 

downloadGiuseppe Pietro Bagetti, “Notturno con effetto di luna” (primi dell’800), Torino, Palazzo Reale

 

 

 

Giuseppe Parini e i “giovin signori” di oggi

 

Giuseppe Parini è stato certamente stato il più frizzante degli illuministi milanesi, colui il quale sferzò, con la sua ironia, la classe nobiliare della Lombardia “austriaca” della seconda metà del ’700. qNella sua opera più celebre, Il Giorno, narra, in versi endecasillabi, la tipica giornata del “giovin signore”, l’esemplare esponente del patriziato milanese, dal risveglio a tarda mattina fino al rientro a casa a notte fonda. L’Autore funge da “precettor d’amabil rito”, com’egli stesso si definisce, sempre pronto a mostrare al suo signore i trucchi e i modi per riempire, con stuzzicanti e coinvolgenti avventure, i tanti momenti di noia. L’opera è un capolavoro insuperato di umorismo. Parini, d’altronde, conosceva bene gli ozi e le abitudini della nobiltà milanese, secondo quello stile di vita condensato nell’adagio “vizi privati e pubbliche virtù”, perché l’aveva frequentata a lungo, quando era stato precettore presso le aristocratiche famiglie dei Serbelloni e degli Imbonati. Emerge, quindi, un ritratto sì caricaturale, ma rispondente al vero. Tutto è teso alla presa in giro e alla messa alla berlina dei nobili e dei loro stravaganti modi di vivere. Finanche il linguaggio, il cui uso è così volutamente fine e ricercato, denso di metafore fascinose e richiami mitologici dal sapore barocco, in modo da risultare spesso comico, serve alla causa. La critica di Parini (immagine a destra) al mondo nobiliare non è stata, però, soltanto distruttiva. Non semplice disapprovazione o preconcetta avversione: egli sperava che i nobili la smettessero di vivere da parassiti e partecipassero attivamente alla vita sociale, che si impegnassero in politica e, forti della loro posizione e della loro ricchezza, contribuissero a migliorare la società. Il portato di queste riflessioni è più attuale che mai, oggi, che si sta facendo un gran parlare di caste e presunta negligenza dei politici.

 

Pubblicato il 22 luglio 2011 su www.caravella.eu

 

 

 

Youngsters and violence

 

One in three young people living in cities throughout UK thinks it is acceptable to carry a knife in self-defence because violence is so rife. Teenagers and twenty-somethings have lost faith in politicians, the police or schools to protect them and increasingly believe they need to be armed to defend themselves against people of their own age. Nearly half said they knew someone who had been a victim of knife crime. A national advertising campaign is going to be launched, aimed at teenagers who carry knives for protection, warning that doing so makes them more likely to be stabbed. Parents, especially mothers, will also be targeted by ads in women’s magazines urging them to talk to their children about the risk of carrying weapons. However, experts warned that unless children can be made to feel safer on the streets, they are unlikely to give up their weapons. There is a picture of young people completely taking it for granted that guns and knives and violence is a kind of everyday part of their landscape. The scale of violence against lads has been revealed in new figures which show that in England an average 58 youngsters a day are being admitted to hospital after being deliberately injured. The numbers suggest that the incidence of intentional harm against youngsters may be rising. Aggression is a feature of behaviour that may be an element of youngsters’ need to be looked after, and trying to understand some of the causes of this are important. It is helpful for parents and carers to have strategies for dealing with violent or aggressive confrontations, should they arise. This can apply equally to younger children and older adolescents. Youngsters may well have experienced aggression, humiliation, or helplessness at home or school during their childhood. Circumstances that are threatening create feelings of fear and insecurity, and may well provoke an aggressive response. Fear of humiliation or a sense of being ignored, undervalued or misunderstood, with feelings of low self esteem, may be countered by strong aggressive reactions. Other youngsters may respond by becoming withdrawn and uncommunicative. 1Youngsters may have experienced adults who are not able to handle complex and difficult situations and have resorted to outbursts of temper, destructive behaviour or domineering means of control. Aggression is one of the identified products of frustration and helplessness. Parents and carers should be aware that when faced by challenging behaviour, their own feelings of anger may result from not knowing what to do that is, frustration and helplessness. Sometimes, aggression is used to cover up feelings of depression. In some rare cases, aggressive behaviour may have an organic cause, or may be evidence of a psychopathic disorder. In a indictment of the UK’s drinking and gangs culture among disaffected young people, police officers are fighting a constant battle against anti-social behaviour and alcohol-fuelled violence which needed greater support from parents. 1Most of the bad behaviour is fuelled by alcohol, much of it supplied by adults, including some parents. A hard core of parents turn a blind eye to the fact that their youngsters are out there, drinking under age and congregating in places where they cause nuisance to others. Groups of young people gather sometimes in large numbers and police officers constantly break the groups up, seize alcohol and send youngsters home to parents but police could not do it alone. All parents have a responsibility to make sure that they eradicate the problems caused by groups of youths, who intimidate and threaten people and same age boys. Whatever the causes, it is necessary to remedy this dangerous situation.

 

Published in July 2008 on www.clubdtv.com

 

ML. SS. Cioè che mi hai portato a fare sopra al Comune se non mi vuoi più bene?

 ovvero

 “La vera storia dell’affaire Casa di Riposo a Massa Lubrense”

 

Dramma satiresco, molto sui generis, in forma narrativa, in atto unico, con interpolazioni morali.

 

Autore: Riccardo Piroddi

Personaggi: I Rivoluzionari (varie figure); I Membri (forse è meglio dire Componenti) del Consiglio Comunale di Massa Lubrense, Maggioranza e Opposizione (varie figure); Il Pubblico (varie figure); Un giovane ingenuo e un po’ tonto (parla in virgolettati tra parentesi quadre); Il Diavolo (che fa le ciambelle senza coperchi e le pentole col buco. Fuori scena)

Regia: Massoneria massese, che sta operando, non troppo segretamente, per imbucare i propri adepti e neofiti nelle liste per la prossima competizione elettorale comunale.

P.s. Poiché il 27 Giugno 1969 i Led Zeppelin tennero un concerto al PlayHouse Theatre di Londra durante il quale fu registrato un album live dal titolo “White Summer” (e questo che c’entra? Boh!) i nomi propri e i cognomi degli interpreti rimarranno taciuti.

 

Prologo

Gentili lettori, nella Grecia classica, in occasione delle feste sacre allestite dai cittadini benemeriti in onore delle divinità, si celebravano gli agoni tragici, durante i quali ogni autore era tenuto a rappresentare tre tragedie ed un dramma satiresco. Le tragedie avevano funzione educativa e purificatrice dalle passioni negative, Aristotele ebbe a dire catartica, mentre il dramma satiresco era inserito nella rappresentazione tetralogica (tre tragedie più il dramma) al fine di sollevare l’animo degli spettatori affinché, dopo aver assistito a eventi tremendi, morti ammazzati, corpi squartati, uomini accecati etc., trovassero lieve motivo di diletto, per non tornare a casa più infelici e tristi di prima. Inoltre, poiché etimologicamente tragedia vuol dire “canto di (uomini travestiti da) capri”, e i nostri politici a volte sono “tragici” (vedi etimologia!), lascio loro la stesura delle tragedie, e a me riservo la scrittura di questo dramma. Buon divertimento!

 

Giovedì 30/9/04, ore 20.00 circa, piazza Vescovado a Massa Lubrense. Giunsero “sotto al Comune” i primi Rivoluzionari, i quali, dopo aver raccolto 1200 firme contro la delibera di Giunta Comunale n° 251 del 7/9/04 avente per oggetto la vendita della Casa di Riposo a Sant’Agata sui Due Golfi all’ASL, son venuti a presidiare la sala consiliare per impedire al Consiglio Comunale l’approvazione di questo scellerato provvedimento.

 

Il Pubblico arrivò alla spicciolata e si formarono combriccole che discutevano se la protesta si dovesse rivolgere contro la vendita della Casa di Riposo in sé, contro l’Asl che intendeva creare una struttura per tossicodipendenti e malati di mente, oppure semplicemente contro la Maggioranza consiliare. I Membri – perdonatemi lettori – i Componenti del Consiglio Comunale, si avviavano lentamente nella Stanza dei Bottoni, dopo aver rivolto qualche parola conciliante ai Rivoluzionari e al Pubblico, quasi a dire: “Non è stata colpa mia, perdonatemi”, “Non sono stato io, non posso farci comnulla”, fino a quando giunse il Capo dei Rivoluzionari, seguito dai suoi minacciosi luogotenenti, da lacchè in uniforme da parata e da una Donna, con il viso di bambola, bella come le “onde/ del greco mar da cui vergine/ nacque Venere, e fea quelle isole feconde…”, chiedo venia, lettori, ma il solo nominarla mi lascia sovvenir “l’eterno/ e le morte stagioni, e la presente/ e viva e il suon di lei…”. Questi, il Capo dei Rivoluzionari, per omonimia con il più famoso Che Guevara, si presentò con un sigaro in bocca, grosso quanto lo schioppo con cui Giovanni dalle Bande Nere combatteva i Lanzichenecchi di Carlo V, calati in Italia nel 1526, agli ordini del generale Frundsberg, che portava legato alla sella del suo cavallo un cappio in corda d’oro col quale, diceva, “di volervi impiccare il Papa”. Uuuh mamma mia!

La brigata rivoluzionaria si avviò “sopra al Comune” e ordinatamente tutti si sistemarono per godere della migliore visuale possibile e dell’angolo di tiro più preciso (si vociferava di lanci di oggetti quali verdure, uova, petardi, sanitari). Il chiacchiericcio del pubblico, oltre 600 secondo i Rivoluzionari, circa 130 secondo le Forze dell’ordine, praticamente 5 o 6 secondo quanti avevano veramente capito che cosa ci erano andati a fare, fu smorzato quando entrarono in scena, con incedere tremolante, i 20 Re Magi e cominciò l’Epifania. La parola all’Assessore al Patrimonio che esordì caldeggiando il ritiro della scellerata delibera da lui proposta [Il giovane ingenuo e un po’ tonto pensò: “Scusate, ma allora mettiamoci d’accordo! Proponiamo prima e ritiriamo poi?] perché il paese si era movimentato contro il provvedimento ed erano dunque necessarie una nuova discussione e una riformulazione del provvedimento stesso: “Con l’aiuto dei cittadini che sono stati così attenti verso un argomento così importante, anche a causa della non puntualità con la quale abbiamo (o non abbiamo) avvisato i cittadini”. [Ed è qui che il Diavolo fa le ciambelle senza coperchi e le pentole col buco!!! Il giovane pensò: “Ma scusate, allora che ci state a fare! A questo punto non facciamo più le elezioni, veniamo noi a fare gli amministratori, prendiamo noi lo stipendio, che con questi chiari di luna non farebbe male, ci avvisiamo e discutiamo da soli!]. “Propongo quindi di ritirare l’argomento in questione”. Tieeeh!

Il Sindaco: “ L’argomento è ritirato”.

Ed ecco che, come il mostro marino che comparve all’improvviso dal “risonante mar lungo la riva” antistante Troia per mangiarsi in un sol boccone il sacerdote Troiano Lacoonte e i figli, colpevole, il primo, di non volere che si trasportasse all’interno delle mura il famoso Cavallo [“E bene diceva, vista la fine che avrebbero fatto i suoi concittadini!”], dai banchi dell’opposizione si alzò il Capo, che chiese che non si ritirasse proprio niente e che, invece, si discutesse. Il Sindaco, allora, sospese la seduta e diede inizio ad un breve e acceso scambio di vedute con il Capo dell’Opposizione sulla liceità della sospensione della seduta stessa, sul fatto se fosse possibile o meno l’apertura di una discussione dopo il ritiro dell’argomento, etc. [Il giovane fece le stesse, precedenti, amare considerazioni “…”]. Il Capo della minoranza, allora, pronunciò un’orazione degna delle migliori scuole di retorica dell’antichità. Quale forza e validità avrebbero potuto avere le parole di Solone, di Marco Antonio [“Ma Bruto è un uomo d’onore!”] di Pietro l’Eremita, di Gerolamo Savonarola, dell’ultimo condottiero, in latino Dux, che arringava dal balcone, nei confronti del miglior discorso propagandistico che si sia ascoltato da queste parti da quando ce l’hanno buttato giù dal balcone il condottiero di prima! (Da quando l’Italia è diventata una Repubblica n.d.a.). Appellandosi al sacro valore della democrazia, al sacro valore del coinvolgimento dei cittadini, al sacro valore che il Sindaco vorrebbe fuggire la discussione, al sacro valore delle Forze dell’ordine presenti, al sacro valore che il Diavolo, ancora e sempre lui, fa le ciambelle senza coperchi e le pentole col buco, iniziò un’arringa durante al quale i familiari, i clientes – alla latina fa più chic – i supporters, accalcati in prima fila, sembravano rapiti, ricalcavano la condizione di turbamento estatico che una volta, in un noto club riminese, investì chi scrive, allorquando una graziosa spogliarellista completò la sublime opera di denudamento… Il Capo dell’Opposizione lodò i Rivoluzionari, asserì che le firme contro il provvedimento scellerato o contro la scellerata Maggioranza (è uguale) sarebbero dovute essere 10.000 se solo vi fosse stato più tempo per raccoglierle [“Ma che cos’è un referendum di Pannella!”] e andò giù pesante: “Si stanno vendendo tutto, Proprietà Baccolini, il Funno a Metrano, i pantaloni, le mutande [“Ah, quanto erano belle quelle della spogliarellista riminese!”], stanno amministrando allegramente le finanze comunali, sono un’allegra amministrazione [“E meno male! Visto che non qua non c’abbiamo manco più gli occhi per piangere, almeno c’è chi ci fa ridere!”], devono vendere la Casa di Riposo perché sono sul burrone del disastro economico (stanno per chiudere, n.d.a.), così con i soldi ricavati, 10 miliardi [“Ma non c’è l’Euro adesso?”] estingueranno i debiti, spenderanno qualcosa per i guai che hanno in corso e gli resterà pure qualche spicciolo per la campagna elettorale [“Ma lei doveva fare il Ragioniere dello Strato!”]. Per non parlare poi delle parcelle multi milionarie (In Lire n.d.a.) date ad avvocati e tecnici: 80 milioni, 100 milioni, 120 milioni, in Lire suonano meglio, [“E che sono la Banda di Massa?”] per controllare l’esattezza di alcune procedure, con i tecnici, gli architetti, gli ingegneri buttati qua sopra [“Ma che, il Comune è diventato un secchio dell’immondizia?”]. E se non fosse proibito per legge, venderebbero pure la Casa Comunale, perché non ci sono soldi che bastano a questi signori! Ma bisogna invertire la rotta, bisogna pensionare questi signori [“Aaaaaah, perciò volevano vendere la Casa di Riposo, per paura di finirci dopo la pensione. Hai capito, hai capito…”] Non è il caso stasera, organizzeremo incontri e assemblee pubbliche, vi chiarirò tutto quello che ignorate, vi informerò su tantissime cose che non sapete, [“Ma chi è Nostradamus!”] poi deciderete per chi votare [Il giovane di prima non ce la fa più e pensa: “Scusate, io sono venuto qui per capire qualcosa sulla faccenda della Casa di Riposo, ma, finora, mi hanno fatto solo capire che la Maggioranza si sta vendendo il Comune, che l’Opposizione ha fatto come il pastore Benino, che dorme mentre il lupo viene a mangiarsi le pecore e si sveglia quando arrivano gli altri pastori, che invece di amministrare si pensa a ridere e scherzare, che siamo qui per onorare i nuovi salvatori della patria che hanno scoperto dopo i cittadini quanto la scellerata Maggioranza stesse facendo. Ma che siamo venuti a fare, ad applaudire l’Opposizione, ad impiccare il Sindaco, a ritirare gli inviti per le prossime conventions della minoranza o a capire qualcosa circa questa delicatissima questione? Boh!!!]

Ma il climax, nota figura retorica, raggiunse la vetta, l’apoteosi del (dis) gusto e del (in) colore, allorquando il Capo dell’Opposizione, con il dito puntato, pronunciò le seguenti parole, taglienti come la lama di una spada di plastica: “Cittadini, la colpa del disastro è di questi tre signori!!! (Il Sindaco, il neo Vice Sindaco ex Assessore al Bilancio e il Direttore Generale n.d.a.). Il Pubblico (le prime file), fino a quell’istante attento in religioso silenzio, alle parole del Capo, come gli spettatori allo Stadio S. Paolo quando Renica al 119’ del secondo tempo supplementare trafisse Tacconi, esplose in un impeto di gioia, di approvazione, di applausi, di urla, di frizzi e di lazzi, di benedizioni, entrarono le ballerine di Can Can, le gheische giapponesi aprirono gli ombrellini di seta ondeggiandoli, la cavalleria del Generale Custer diede la carica, il coro delle Voci bianche in Vaticano intonò il ritornello di “O’ surdato ‘nnammurato” etc., etc., etc., per il proprio eroe, che terminò la sua Filippica così come Cicerone scoprì la congiura di Catilina… Ristabilito a fatica lo status quo (come stavano le cose prima n.d.a.), riprese la rappresentazione artistica che ha reso famoso nel mondo Mario Merola: la sceneggiata. Alcuni cittadini intervennero per esprimere all’assemblea i propri turbamenti e un Consigliere di minoranza, alla maniera dei quodlibeta nelle università medievali, intavolò con il Sindaco un’istruttivissima discettazione circa la professione di un notissimo ristoratore presente in platea; Abelardo e Bernardo di Chiaravalle (Sindaco e suddetto Consigliere n.d.a.) logomachizzarono se il succitato imprenditore dovesse andare a fare il cuoco o piuttosto se cucinasse bene. Il pubblico, espertissimo di teologia, di filosofia medievale e di questione degli universali, salutò con molto fervore la divagazione coltissima dei due novelli Magistri philosophiae, che bene si inserì nella farsa che stava ivi avendo luogo.

Così, dopo il comunicato stampa personale dell’ex Vice Sindaco dimissionario, il quale annunciò a tutti, come fa solitamente il Presidente Ciampi, l’auspicio di una comunanza di intenti circa la delicatissima questione [“E allora???”] e l’intervento del neo Vice Sindaco, volto a rispondere e, in parte, a confutare la brillantissima Catilinaria del Capo dell’Opposizione, il Sindaco sospese per qualche minuto la seduta e i Rivoluzionari, il Pubblico, il giovane ingenuo e un po’ tonto, il Diavolo, che continua a fare le ciambelle senza coperchi e le pentole col buco, avendo capito meno di quello che avevano capito prima di arrivare, si avviarono mestamente “sotto al Comune” e, come recita il titolo di un capitolo de Il nome della rosa del divino professor Umberto Eco, l’unico che riuscirebbe veramente a capirci qualcosa, “Tutti andarono a letto più infelici e tristi di prima”. Per questo io ti chiedo: “Cioè che mi hai portato a fare sopra al Comune se non mi vuoi più bene?”. 

FINE

 

Pubblicato a novembre 2004 su L’Indice – Mensile di approfondimento della Penisola Sorrentina

 

Massa Lubrense indossa l’abito estivo

 

Una fiaba apocrifa narrata dalla Principessa Zoza ne Lo cunto de li cunti, opera dello scrittore napoletano cinquecentesco Giovan Battista Basile, riferisce che all’epoca in cui il Pio Abate Don Antonio Bassolino da Afragola e i suoi fraticelli di povera vita comune ascesero alle poltrone del Consiglio Regionale della Campania, il territorio fu invaso da sacchetti di immondizia. I fedeli esasperati cominciarono maldestramente a credere che l’immondizia avesse spontaneamente abbandonato il Palazzo del Governo Regionale, perché indegna di quella nuova colà insediatasi. Il Santo Abate, per mettere a tacere le sediziose voci del popolo, chiese e ottenne dal Papato di Montecitorio una pioggia di quattrini e oboli, per far si che l’immondizia tornasse alle sedi naturali. Ma il sacro danaro, frutto del lavoro dei fedeli, fu dall’Abate sapientemente distribuito tra i suoi fraticelli di povera vita comune e gli ordini monastici di Gomorra (il testo è poco chiaro su questo punto). I sacchetti di immondizia, intanto, continuavano a passeggiare per strada. Il Santo Abate allora, chiese e ottenne che il vescovo Catenacci assumesse la direzione della delicata faccenda, ma l’immondizia, nonostante tutto, seguitava a deambulare per le vie di ogni contrada. Ma i fedeli, tristi e sconfortati a causa del mortifero odore di quella ingombrante presenza, anche in previsione delle canicole estive, non contenti del risultato precedente, regalarono un dieci per cento in più di voti ai fraticelli del Santo Abate alla Provincia di Napoli. Il Santo Abate, dal canto suo, constatato come la Regione Campania fosse ormai più rossa di vergogna perfino dell’Emilia Romagna, rivolgendosi ai credenti, durante le abituali benedizioni Urbi et Orbi, diceva: “Ricordatevi, immondizia siete e nell’immondizia rimarrete!”.

 

Pubblicato a maggio 2005 su L’Indice – Mensile di approfondimento della Penisola Sorrentina