Archivio mensile:Agosto 2015

Magnitudo

 

Vivendo ho imparato una cosa. I nostri migliori amici si dividono in due famiglie. Gli amici di lungo corso, i quali sanno ormai tutto di noi e anticipano ogni nostra mossa e avvertono anche a distanza i nostri mutamenti d’umore. E gli amici d’occasione. Forse momentanei, forse brevi come certe scosse, certi lampi. Ma così forti e potenti che poi a perderli senti uno squarcio.

Patrick Gentile

 

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Itaca

 

Ho sbarrato gli occhi alle cinque del mattino. Ho cominciato a torcermi nel lenzuolo. Tra i fari delle macchine di fuori in corsa sul muro della mia camera. Nei pensieri. I pensieri delle cinque del mattino assomigliano a un funerale. Vedevo me. Morto. Vedevo noi. Che usciamo, guardiamo la tv, mangiamo, parliamo, discutiamo, ci arrampichiamo sugli specchi, mendichiamo un filo di attenzione a chiunque ci capiti sottomano, ci infiliamo gli assorbenti. Così abrasi e costretti al terrore. Eccomi. Fatuo e insulso. Mi ero addormentato anch’io sugli allori, mi ero spiaggiato a Itaca. Pigro e lesso nella mia stessa vanagloria, preso solo dal numero crescente dei cazzi che il mio culo ha finora ospitato. Ho voltato le spalle a tutto, mi sono distratto. E l’abiezione era lì, pronta invece a colpire come un maledetto cecchino. Ha trovato un punto strategico. E ha premuto il grilletto. Sono sceso dal mio letto a soppalco prima della sveglia.
Io non ho paura, ho detto a me stesso. Io non ho paura. Mi sono lavato la faccia, ho allacciato le scarpe, sono uscito di casa. Come da ragazzino. L’onda era talmente alta. Ma io dovevo infilarla di testa. A tutti i costi. Anche se mi cacavo sotto. Anche se rischiavo di lasciarci le penne. O così o non sono un uomo. O così. O non sono un uomo.

Patrick Gentile

 

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Bimodalità

 

Spesso, durante tutta la mia vita, mi sono accorto di funzionare in due modi. Sempre. Al punto da domandarmi se valga lo stesso anche per gli altri. Se sia così anche per voi oppure no. Parlo di quell’animarsi scomposto mentre si è in preda all’eccitamento, di quella tensione esplorativa, della continua schiusa al mondo di fuori, alle persone, alle loro corporeità. Parlo di quel voler legarsi ad esse in una febbre di empatia e complicità ed esuberanze modeste seppur vitali. E dopo, nella risoluzione liquida dell’impatto, dello scivolare. Quel cadere di foglie goffo e imbarazzante, quel tramontare, morire.
Vorrei consolarmi credendo che sia questo il lurido male del nostro presente. Non per forza solo il mio. Incendiarsi per un giorno e il giorno dopo star lì come grandi piazze deserte spazzolate dal camion della nettezza urbana. Ripuliti e soli.

Patrick Gentile

 

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Il coraggio di scrivere

 

La difficoltà sta tutta lì. Nei dialoghi che si inceppano, nelle false ed edulcorate visioni che la gente ha su questo e su quello. Tutti a metafisicare. Tutti a costruire una saggezza fatta di stupidi proverbi retrivi, vuote asserzioni ascoltate già un milione di volte. Che al limite funzionavano negli Anni Novanta, poi però il mondo è cambiato. Esempio, l’amico di vecchia data che non capisce perché non hai ancora mai pubblicato un libro attraverso i canali ufficiali. La gente è convinta che la scrittura sia una cosa con cui svoltare. Bene. A riuscirci sono in pochi. Pochissimi rispetto alla moltitudine di penne che vive nascosta. Pochissimi e sempre gli stessi. E mica scrivono e basta. Fanno un sacco di altre cose. Tra cui andare in tv, possibilmente da Fazio.
Guadagnare con la propria “arte” comporta obbligatoriamente la combinazione talento-rete di contatti. Il tutto, sia chiaro, misurabile poi sull’ascissa del lungo termine. Altrimenti basta vincere un concorso, e poi di nuovo eclissarsi, tornare al brulichio sommerso, alla macchia.
Vanto da anni una dozzina di lettori ogni settimana, proprio qui, dove ognuno illusoriamente sembra potere in tutto-ma-proprio-tutto. Fossi in uno scaffale di Feltrinelli ne avrei altrettanti? Boh.
Campo da anni di questo minimo successo, prima solo d’occasione, ora un filo più solido grazie alla fidelizzazione. E mi basta. Ecco, la fidelizzazione. La fidelizzazione è uno dei segreti per durare nel tempo. Anche quando non si è nessuno, insomma si è uno dei tanti, uno nel mucchio, dico. In fondo i veri frustrati non sono coloro che sfornano la torta nel chiuso silenzioso della loro cucina. Ma coloro cui, malgrado si dannino l’anima, l’impasto non riuscirà mai.
Ecco, volevo dir questo.

Patrick Gentile

 

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Notturno con effetti di luna

 

Nella Napoli borbonica si udiva sovente dire dai popolani: “Feste, farina e forca”, a significare il fatto che la durezza del regime monarchico fosse a volte addolcita, a modo di palliativo, da festeggiamenti e pane (panem et circenses) elargiti dai sovrani, per poi tramutarsi, quasi immediatamente, nelle abitudinarie persecuzioni e condanne a morte liberticide. Ciò che, mutate ovviamente le cose che è necessario mutare, è accaduto a Massa Lubrense durante la scorsa campagna elettorale. Feste danzanti per giovani amanti della disco, spettacoli con comici di grido e soubrette all’ultima moda, pranzi e cene luculliani, proposte benefiche o benevole che dir si vogliano, buone intenzioni delle quali si sa, è lastricata la strada che conduce all’inferno, donazioni spontanee (ma va là!) di affetto e stima, risoluzione immediata di qualsiasi tipo di problema, meglio di Wolf che risolve i problemi in Pulp Fiction, montagne di fogli di carta, da incenerire quel che rimane della Foresta vergine in Amazzonia, che sprizzano programmi politici, filantropici e caritatevoli, più ottimistici delle pagine del Candide di Voltaire, sfregamento di mani da parte di baristi che hanno visto moltiplicata la quantità giornaliera dei caffè offerti e bevuti, etcetera etcetera. Un gran carnevale, insomma, durante il quale, alla sera del Martedì grasso, sulla pira, invece del fantoccio di Re Carnevale, come accadeva sin dai tempi dei Medici a Firenze, sono stati immolati il buon senso e la decenza! Adesso, però, è cominciata la Quaresima ed è tempo di riflessioni per gli eletti, per i non eletti e per gli elettori, o, forse, sarebbe più giusto dire per i vincitori (gli eletti e i non eletti) e i vinti (gli elettori). Poiché, dunque, chi scrive appartiene suo malgrado alla categoria dei vinti (San Giovanni Verga, prega per noi!), questa sarà di seguito analizzata. Vorrei porre alla vostra attenzione, cortesi lettori, un dato di fatto: nel nostro Comune (sono massese, ergo parlo di Massa Lubrense, anche se ciò vale per le altre realtà) nonostante la presenza di ben due candidati locali, i “forestieri” abbiano raccolto oltre 2600 voti su 7.383 schede valide, voti i quali, guarda caso, sarebbero serviti ai nostri due candidati permettendo loro l’elezione. Ma non è questo il dato focale, soprattutto perché il voto è libera espressione, diritto e dovere del cittadino. Ognuno può e deve essere animato da sentimenti e idee, e riporre questi nella persona che crede possa meglio rappresentarlo. Questa è la vera democrazia, questa è la parafrasi un po’ romantica dell’articolo I della Costituzione allorquando recita che la sovranità appartiene al popolo. Ma è proprio a questo punto che comincio a rabbrividire, perché mi son reso conto che alle elezioni non è la volontà di tutti i cittadini ad essere espressa, ma piuttosto la volontà di alcuni cittadini (i cosiddetti notabili) i quali, animati da idee e sentimenti molto raramente romantici e troppo spesso di interesse (non soltanto, comunque, nella accezione negativa del termine) controllano e spostano gruppi più o meno consistenti di voti. Quindi, cortesi lettori, sapete quale è il problema? Il problema siamo noi stessi, forse troppo poco interessati a faccende che aprioristicamente giudichiamo male, critichiamo insensatamente, offendiamo. Quante volte avete voi stessi detto o sentito dire: “Sono tutti uguali, sono tutti ladri, è tutto uno schifo, ma che votiamo a fare”. Bene, è proprio questa l’origine della questione. La scarsa conoscenza, eufemismo per ignoranza, e il disinteresse. La politica è innanzitutto conoscenza e ragionamento. Conoscenza di idee, di uomini, di programmi politici, e ragionamento finalizzato ad una conoscenza intima e personale di ciò che sic et simpliciter si definisce “per chi o per cosa votare”. Dico questo perché sono purtroppo convinto che la maggior parte dei cittadini non si curino o non vogliano curarsi affatto di questi affari. Ed ecco che, dunque, peraltro inconsapevolmente, affidano quanto di più prezioso è stato loro concesso dalla forma di governo, o costituzione, per usare la definizione dello storico greco Polibio, democratica, ovvero la propria volontà, alla mercé dell’amico, del parente, del medico, del professore, dell’assessore, ai quali chiedono “per chi o per cosa dobbiamo votare?”. Per questo, cortesi lettori, io che, parafrasando Immanuel Kant, credo che l’uso della Ragione sia veramente “l’ultima pietra di paragone con la verità”, vi dico: svegliatevi, cominciate a ragionare, diventate padroni della vostra volontà, non affidate il vostro potere in mani altrui, siate voi a tessere il filo della vostre scelte, solo così diventeremo grandi, solo così infine, riferendomi al titolo di uno splendido quadro del pittore torinese Giuseppe Pietro Bagetti, al notturno che sovente oscura le menti, potremo noi stessi dipingere, effetti di luna.

 

Pubblicato a giugno 2005 su L’Indice – Mensile di approfondimento della Penisola Sorrentina

 

Lato B

 

La mia percezione del tempo è così cambiata. Vivevo nella grande dismisura. Nella grande dilatazione. Poi i giorni hanno iniziato progressivamente ad assottigliarsi, a rimpicciolirsi. Suppongo si tratti di un fenomeno psichico collegato all’aumentare dei propri anni. Forse è anche per questo che i vecchi dormono poco. A volte sento una spinta profonda. Giunge da un mio recesso complicato. Mi vedo a fare i bagagli, prepararmi alla partenza, raccogliere pezzi per poi lasciarmi alle spalle questo lato del disco. Scoprire come sarà il lato b. Perché dopotutto il lato b è il lato alternativo, quello che contraddice, il ribelle, lo sperimentale. Quello che in pochi ricordano. O forse no. Avevo “Woman in love”. E adoravo quel brano. Finché un giorno non mi feci coraggio e girai il vinile e scoprii “Run wild”. E, be’, fu lì che finalmente capii.

Patrick Gentile

 

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#9 Dream

 

Nell’estate del 1982, tra le cicale del dopopranzo e le inutili letture nel sussidiario, mi affaccio dal mio terrazzino verso il grande ciliegio di fronte, e verso il dirimpettaio, e verso la pubertà. Lui, il dirimpettaio dico, è un ometto sui quaranta, in costume da bagno, intento a leggere un libro e ad abbronzarsi dalla sdraio, là nel suo balcone. Un pomeriggio si accorge di me. Sono lì che sfioro le asparagine nei vasi di mia madre, poi mi tolgo la canottiera, certo del fatto che mi ha finalmente notato. Infatti è lì che guarda, dietro gli occhiali da vista, e poi fa di sì con la testa. Ci separa un garage, ci separa il ciliegio, e, anagraficamente, trent’anni all’incirca. Il pomeriggio dopo il rito si ripete. Cicale, riverbero, afa. L’ometto in costume fa di sì con la testa e poi, ecco, contraccambia. A modo suo. Poi il tutto va avanti per un po’. Giorni, settimane.
“#9 Dream” di John Lennon gira sul piatto dei miei quasi dieci anni, sugli echi delle bombe lanciate nelle Falkland. Sui nostri slip che cadono a terra. Poi l’ometto sforbicia medio e indice e ammicca: esci e vieni da me, sono solo. C’è un sole che spezza. Un abisso di cicale. Tutti che dormono.
“Ah! böwakawa poussé, poussé.”

Patrick Gentile

 

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Api

 

Dalle api dipende il nostro destino. Dalle cose microscopiche i fatti epocali, la Storia. Che terribile, superba metafora, vi pare? Si spezza un’unghia, scricchiola una vertebra, un dente si caria. E dopo viene giù tutto. Malgrado le pomate, la ginnastica, tonnellate di fluoro. Tutto quanto.
Come sono vani. I nostri piccoli, miseri, astuti accorgimenti, dico. La nostra prudenza ancora così piccolo-borghese. E, ugualmente, niente che possa impedire ai ghiacci di sciogliersi. Niente che trattenga una slavina dal travolgerci. Ho imparato che più si è cauti più si soffre. Più si risparmia agli altri il ritratto di noi che marcisce in soffitta, più gli altri ci verranno a cercare proprio in quella soffitta. Perché chi vince davvero è colui che non tradisce se stesso, che non commette passi falsi. Ma come si fa?
Io ad esempio inciampavo. E molto. Inciampavo negli altri, nella loro indifferenza, nella loro schiena. Alla quale bussavo con colpi furibondi. Inascoltato. I loro piedi d’argilla non li volevo vedere, non li potevo accettare. Anelavo alla loro superficie rifiutandone il sottosuolo, la corruzione. Ed ero supremamente cauto. E scaltro. E truffaldino. Ma non è bastato.
Perché alla fine ciascuno ha un proprio orrore privato, una propria scia di rovine e sangue. Una propria solitaria carneficina. Cadaveri fatti a pezzi, sepolti da qualche parte in giardino. E api. Cui abbiamo impedito di nidificare. Che abbiamo appestato. Senza provare alcun sentimento.

Patrick Gentile

 

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