Archivi giornalieri: 24 Settembre 2015

Ti Jean

A Jack Kerouac

Videopoesia

(guarda)

 

Quanto è stata
lunga Ti Jean
la strada
che da Lowell
ti ha portato
dove non ci sono
più strade
e quanto sarà
lunga Ti Jean
la strada sulla quale io dovrò
correre per provare
a raggiungerti
correre
sì correre
come il ritmo
sincopato di una partitura
jazz che striscia
tra i tasti di un sassofono
nero in un locale
stretto e fumoso giù
a New Orleans
come le parole
spontanee
su un rotolo
per telescrivente
senza punti
né pause
libere
senza freni nude
e senza coscienza parole
bruciate troppo
in fretta benzina
nel carburatore
dell’automobile che sfrecciava
per le highways
d’America da Est
a Ovest
a Est irrequieta
battuta
affamata di vita
e beata
il suo rumore è arrivato
dovunque ha corso
per tutte le strade
del mondo e
non si è finora ridotto
né può continua
è possibile ascoltarne
il rombo limpido
e chiaro come le notti passate
a dormire sui prati
e nei boschi nel sacco
a pelo fatto
di stelle
e una bottiglia
di bourbon. 

 

getmedia

 

Social

 

Mi ci sono voluti cinque anni. Cinque anni buoni. Cinque anni di Facebook. Ma alla fine credo di aver capito. Il regno del vuoto sterminato. Il sommo paradigma del nulla. Ecco cos’è. Un’umanità che si parla addosso, che si specchia in pubblico perché a farlo in solitudine le farebbe troppa paura. Incapaci di interagire nei sapori e negli odori, ci muoviamo in chat imbarazzanti e imbarazzate. Ché oggi se telefoni a qualcuno sei uno stalker. Allora faccine e poi faccine e poi di nuovo faccine. Siamo emoticon sgrammaticate. Tento con sforzi disumani di costruire qualcosa di nuovo, qualcosa di buono. Di uscire da questa griglia artificiale. Ma non ce la faccio. Che beffa. Incroci di belle occasioni che temono per il loro stesso fiorire. Meglio seguitare a farci selfie sperando in un paio di “likes”. Meglio vagare per chat armati di copia e incolla. Meglio le tette, i culi, i tatuaggi, i cibi, le spiagge. Tanto è in questo che ci siamo specializzati. Ciascuno un banco, ciascuno la propria merce. E sarebbe perfino struggente se poi non ci illudessimo che qui si fa sul serio. Meglio battere le mani che parlare. Ma sì. Dopotutto questo è un concerto rock. Noi sul palco, giù la claque.

Patrick Gentile

 

Schwetzingen_Skulptur_Die_Claque_20120517