Archivio mensile:Giugno 2016

Fallimenti

 

 

La mia lente non mi porta mai ad analizzare i fallimenti ideologici e sociali come un vuoto di coscienza, politica o teoretica che sia. Nel fallimento di un’opportunità si riflette ben più tristemente la grande depressione collettiva di cui parlo ogni giorno. La passiva accettazione che il male abbia gettato radici nel giardino dietro casa nostra. Sartre sorriderebbe davanti a un tale scenario, un po’ come si sorride quando un pronostico sciagurato trova poi riscontro. Un sorriso tanto amaro, certo, quanto ineludibile. Viviamo un’epoca di completa asfissia etica. Giorni fa una mia collega positivista ha ricordato con orrore gli anni di piombo. Le ho risposto che almeno allora serpeggiava ferocia intellettuale, non l’abulia generalizzata di oggi. Ma io voglio credere in un futuro migliore, ha detto, senz’altro pensando alla sua bambina. No, le ho risposto, il futuro è finito diversi anni fa, questo è il buio della civiltà e noi, meglio mettersi l’anima in pace, saremo costretti ad attraversarlo interamente fino al giorno della nostra morte.

Patrick Gentile

 

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Questa analisi può apparire catastrofica, certamente triste. Ma è onesta! Amo i cantori della realtà quale essa è e non quale si vorrebbe fosse. L’ottimismo è, senza dubbio, un buon esercizio della mente. Ma rimane tale! Il vero delle cose è tutt’altro. E questo tutt’altro, oggi, corrisponde alla presente descrizione! (R. P.)

 

 

Questa lurida grotta

 

 

Io passo metà delle mie giornate compatendo unicamente i vostri figli. Me li immagino mentre vengon su tra social-idiozie, vuoto pneumatico dei linguaggi seriali rimediati fra i brusii televisivi. Condannati a tatuarsi, pagar le palestre, bere alcol, tanto alcol. Me li vedo andare nel rimpasto di tutto il brutto che gli stiamo lasciando. Nessuna generazione – in tutta la storia occidentale – è mai stata debole e fiacca e fifona quanto la nostra.
Io camperò nella mia modernità, nella mia contemporaneità. Che certo non è il 2016. Non è in questa lurida grotta.

Patrick Gentile

 

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Prima

 

 

Noi si campa tutti così. Amici e sconosciuti. Prossimi e distanti. Motivati e menefreghisti. A me di te importa ora e poi non lo so, dopo non so più niente. È la condizione. Non lo facciamo neanche apposta. Ci è interessato tutto troppo prima. Quando tutto era interessante. Infatti che casino, che rivoluzioni, porcatroia. Prima.

Patrick Gentile

 

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Speranze e conquiste

 

 

Finché si litiga. Finché si dibatte, si discute, ci si danna, si lotta. Finché si sta nell’agone. Sul ring. Fino a che si urla, ebbene allora le cose possono crescere. Crescono perché ci si sporca, ci si fa male e facendocisi male si mette cemento, c’è uno scopo, uno scopo e una sfida. E se c’è una sfida e uno scopo, allora si può stare tranquilli, niente è superfluo, anzi è il tempo delle grandi speranze e delle straordinarie conquiste. Piuttosto si deve tremare dopo. Quando si scende dal ring. Credendo sia giunto il momento più bello, noi finalmente maturi, appagati, saggi. Incapaci di vedere che è proprio quello il momento in cui invece si è già perso tutto.

Patrick Gentile

 

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The Kills

 

 

La parabola artistica dei Kills è certamente tra le più singolari degli ultimi anni. Per gli amanti del rock puro, quello allo stato brado, senza se e senza ma, i Kills hanno rappresentato una vera e propria boccata d’ossigeno all’inizio del nuovo millennio. Ascoltandoli si ha l’impressione di una band senza tempo, figlia di nessun genere musicale, ma non per indexquesto priva di personalità e di sound originale. Il loro è un rock essenziale, nel suo sound volutamente scarno, senza astrusi ritocchi decorativi e virtuosismi strumentali. Ciò che principalmente cattura è il ritmo incalzante dei loro brani e quella rabbia sempre presente sullo sfondo. Le loro canzoni sono tutte di facili ascolto, pur non seguendo la definizione comunemente nota di “pezzi orecchiabili”. La storia dei Kills si potrebbe definire figlia del caso. Alison VV Mosshart iniziò la carriera di cantante e chitarrista in una punk band nella sua città natale, in Florida. Non ancora maggiorenne, la talentuosa ragazza partì per un tour europeo con la sua band. Fu proprio durante quel tour, mentre era in un appartamento di Londra, che udì della musica provenire dalla stanza accanto. Così avvenne il primo incontro con Jamie Hinche, il quale era, a sua volta, membro di spicco di una rock-band locale. Secondo la leggenda, Alison avrebbe avuto un colpo di fulmine così intenso per la musica di Jamie, da avviare una corrispondenza intercontinentale, finalizzata allo scambio di registrazioni musicali. Inizialmente, i due si mantennero in contatto solo a distanza. Poi, Alison lasciò la sua band e prese un volo per l’Inghilterra, allo scopo di collaborare di persona con Jamie e incidere un disco. Il duo vide la luce nel 2000, con le prime esibizioni in alcuni locali londinesi. Coi nomi d’arte di VV e Hotel, i futuri Kills, grazie al loro sound volutamente scarno ma, al contempo, The-Kills-the-kills-20193618-601-389trascinante, contraddistinto dalle straordinarie capacità vocali di lei e compositive di lui, conquistarono subito una buona parte di pubblico londinese. Passò poco tempo e la stampa inglese iniziò a interessarsi dei due ragazzi. In un articolo, furono addirittura paragonati ai primi Velvet Underground. Paragone probabilmente un po’ azzardato, ma giusto o errato che fosse, contribuì al loro successo. Nel 2002, la band pubblicò il primo EP, intitolato “Black Rooster“, Domino Records. Nel 2003, finalmente, il primo disco: “Keep On Your Mean Side“, Domino Records. E’ un album dal sound estremamente semplice, nel quale si possono ritrovare certe attitudini punk, evidentissime radici blues e strizzatine d’occhio all’elettronica minimale. Il successo non fu enorme, ma il disco ottenne svariate recensioni positive da parte della stampa e fu distribuitokills-midnight-boom anche negli Usa. Bisognerà attendere il 2005, con la pubblicazione di “No wow“, Domino Records (copertina a destra), per il successo planetario. “No wow” è un disco dall’atmosfera piuttosto cupa, spesso claustrofobica. La musica sembra essere perennemente trattenuta, sempre in procinto di esplodere ma mai in grado di farlo. La maturità artistica arriverà solo nel 2008, con la pubblicazione di “Midnight boom“, Domino Records, che è sicuramente il disco meglio riuscito della loro carriera. L’album apre in gran stile col singolo “U.R.A. Fever” (ascolta), in cui le voci dei due talentuosi musicisti si mescolano in un crescendo martellante ma per certi aspetti sensuale. La seconda traccia, “Cheep and cheerfull“(ascolta), è sfegatatamente dance, una filastrocca semplice e immediata, come nel prosieguo saranno anche “Hook and line” (ascolta) e “Alphabet pony” (ascolta). Ma il momento più alto del The_Kills_Heaven_March_2011disco, lo si raggiunge con “Last day of magic” (ascolta), una canzone dal sound gradevolissimo e accattivante, con la voce di Alison (e quella di Jamie che si presta sullo sfondo in un riuscitissimo inserto) che lascia di stucco, così suadente ma aggressiva al tempo stesso. In conclusione, “Midnight boom” non è di certo un capolavoro e di certo non passerà alla storia per aver creato generazioni di proseliti o inventato un nuovo sound, ma è un disco da ascoltare, un disco che ha comunque il grande merito di risultare godibile, trascinabile e mai stucchevole. Un disco che, nella sua semplicità, non scade mai nella banalità, da ascoltare per rilassarsi e trascorrere mezz’ora lontani dai troppi pensieri della quotidianità.

Pier Luigi Tizzano

 

 

 

Ecco perché non diventerò mai un grande scrittore

 

 

Descrivere una scena d’amore, che sia essa ambientata nella preistoria, nel ‘500 o nel 4300, avendo negli occhi se stessi e la donna che si è realmente amata, baciata o posseduta, non è arte. E’ passione. I grandi scrittori scrivono col cervello, quelli piccoli col sentimento. Ecco perché non diventerò mai un grande scrittore: io scrivo col cuore!

 

 

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Erporo Paolo e gli Squallor

 

(Brevissima discettazione sulla volgarità e sul comune senso del pudore)

 

 

Quando vado x prati mi viene il cazzo d legno e m devo fare le seghe.m capita da quando so pikkolo,dovevo posa la bici e me lo dovevo menare d santa ragione.m è capitato d frequente d andarci cn la mia donna..niente..magari faccio l amore ma nn riesco a skizzare.nn m viene duro in ogni prato ma solo quando trovo quei posti dve so solo,coi cani,dve a perdita d okkio nn vedo case,dve i rumori nn arrivano,dve a terra nn trovo cikke o pezzi d plastika.la psikiatra m disse ke sikuramente da bambino sono stato pulito x benino in un campo,questo m ha rizzato l ucelletto e quindi provo amore in determinati posti.in verita io ste cose cosi zozze nn le vedo,ne le comprendo..a me viene il cazzo d legno solo quando una cosa m piace x davvero,quando sento un rikiamo ancestrale tipo la morte,quando sento l amore totalente impersonale.io m fido ciecamente del mio cazzo,nn è x niente un fatto sessuale e ki il sesso c vede è un gran zozzone.il cazzo nn è solo un cazzo,ma è la via piu ingenua ke m porta al sukko del bene,alla fonte d cio ke desidero veramente.io m fido del mio cazzo e se fossi nato millenni fa avrei seguito solo lui,di sikuro m avrebbe portato a godere veramente d ogni cosa,avrei avuto la piu bella casa in un posto magnifiko,semi,bakke,e l Amore della mia vita tra bestie e kissa quanti regazzini..m vie duro solo a scriverlo.e invece NO…viviamo in un mondo d merda,dve lo spazio è finito,dve ogni oggetto è una rosea inkulatura e dve siamo costretti a negarci figli e praterie x motivi orribili.in questo stato d cose lo zozzo so io..ke quando trovo il mio prato antiko sborro.pregate de meno e masturbateve de piu,,ke dio sta in mezzo alle cosce vostre e vole solo il vostro meraviglioso bene…bene ke nn è quello da copertina e dell avere,ma è quello del dare,x piacere e x amore.buon fine settimana,rilassateve e tokkateve la fregna o il cazzo in un modo totalmente antisessuale..capite piu kose cosi ke a parla co 4teste de cazzo o a leggeve 7,8libri.tante care cose.” (Erporo Paolo, giugno 2016)

 

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Agli inizi degli anni Settanta, quattro tra i più affermati professionisti dell’industria discografica italiana, Alfredo Cerruti, Giancarlo Bigazzi, Daniele Pace e Totò Savio, diedero vita ad un gruppo musicale molto particolare: gli Squallor. In moltissimi, ancora oggi, nonostante abbiano terminato questa avventura nel 1994, ne canticchiano le canzoni, le quali, all’apparenza volgari tout court, dense di nonsense, quasi tutte in dialetto napoletano, racchiudono, invece, una abilità tecnica e musicale senza precedenti e un senso nelle parole, profondo e tagliente. Non mi dilungo oltremodo sugli Squallor, altrimenti ne verrebbe fuori un saggio breve. Li ho citati perché, non appena ho letto questo scritto di Erporo Paolo, mi sono venuti in mente loro, avendovi colto elementi comuni. Erporo Paolo è certamente un professionista della scrittura (nella accezione comune del termine), il quale, nel caso del brano sopra riportato, volutamente, adopera tale registro stilistico dialettale, in romanesco, e una prosa di difficile immediata comprensione, pur potendo senz’altro produrre ben altre cime. Ad ogni modo, trovo questo suo prodotto incredibilmente piacevole, per almeno tre fattori. Innanzi tutto, a me che sono un purista, leggere queste sgrammaticature formali, oserei dire grafiche, ha fatto sorridere di soddisfazione (una tantum!). In secondo luogo, eminente caratteristica comune con gli Squallor, esso rappresenta il tentativo (riuscito) di dimostrare come arte e abilità non siano contemplate soltanto in certi e ben definiti stilemi linguistici (la Venere d’Urbino del Tiziano, ad esempio, per passare dalla scrittura all’arte, è un’opera di genio o un volgare e pornografico nudo?). Infine, esso diviene portavoce di una parte recondita e spesso oscura, presente in ognuno di noi, quella parte da osteria o da bordello (penso a Cecco Angiolieri), che cliché e convenzionalità, nel corso di tutta la storia della letteratura, non soltanto italiana, hanno rinchiuso nel lazzaretto del comune senso del pudore. E allora, W gli Squallor!!! W Erporo Paolo!!! W la scrittura sciolta, come direbbe Roberto Benigni!!! E, vivaddio, W pure la volgarità!!! Perché, ricordate, come ho scritto qualche tempo fa, “la volgarità è l’unico modo di esprimersi per farsi comprendere da quegli imbecilli che se ne scandalizzano!!!”. 

(“Notte, più notte, ‘o sang ‘e chi t’è mmuorte!“, Squallor, “A chi lo do stasera“, 1984)

 

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La bellezza

 

 

Che sia di una donna, di un fiore, di una melodia, di uno sguardo, di una carezza, di una bimba, di una mente, del tramonto, di un verso o delle stelle, è soltanto la bellezza che ci permetterà di affrontare e sconfiggere la miseria, materiale e spirituale, che ci circonda e ci affligge. Amate e contemplate la bellezza prima di ogni cosa, ma abbiate il coraggio di inseguirla tenacemente e di stanarla, poiché la bellezza profonda delle cose, quella vera, non è affatto immediata: essa ama nascondersi!

 

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Giovinezza decrepita

 

 

È sinistro come il mondo occidentale promuova il culto della giovinezza mentre la maggior parte di noi sta psicologicamente sfiorendo. I trent’anni. I trent’anni sono la parte in cui uno parla di più. La parte dove si devono sistemare le situazioni. Tutte le situazioni: il lavoro, la propria posizione nel mondo, il progetto di una casa, un figlio. La parte insomma dove si dovrebbero sputare i rospi, essendo di contro la parte successiva quella dove il rischio di restare senza parole è incontrovertibile. I quaranta-cinquantenni sono perfetti esteriormente. Sono giovani fuori. Ma non parlano. Non si parla. Questo mutismo diffuso è il segno inequivocabile della nostra grande decrepitezza.

Patrick Gentile

 

Francis-Bacon-Ritratto-di-George-Dyer-allo-specchioFrancis Bacon, “Ritratto di George Dyer allo specchio”, 1968, Madrid, Museo Thyssen-Bornemisza