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Aiace Telamonio e l’uomo che trionfa sul destino

 

 

Tra gli eroi della mitologia classica che amo maggiormente c’è Aiace Telamonio. Sentite la storia della sua fine e capirete perché.

Siamo a Troia, sul campo di battaglia. Aiace si prepara a contrattaccare i Troiani, allorché, guidati dalla regina Pentesilea e dalle Amazzoni, avanzano sul campo di battaglia, riempiendo la pianura di cadaveri. Sfiorato da un dardo di Pentesilea, che gli scalfisce appena l’elmo, l’eroe rinuncia a scontrarsi con la donna. Achille, dopo aver ucciso Ettore in duello, per vendicare Patroclo, cade per mano di Paride. Aiace e Odisseo combattono, quindi, contro i troiani per strappare loro il corpo dell’eroe ucciso. Aiace, roteando la sua immensa ascia, si occupa di tenere lontani i troiani, mentre Odisseo carica Achille sul suo carro e lo porta via. Durante questa battaglia, Aiace compie sanguinosi prodigi, massacrando Glauco, figlio di Ippoloco e sovrano licio, e ferendo gravemente Enea e Paride. Dopo la cerimonia funebre, entrambi gli eroi reclamano il diritto di tenere per sé le armi di Achille, come riconoscimento del loro valore. Alla fine, dopo alcune discussioni, è Odisseo a spuntarla e Aiace, accecato dal dolore, decide di vendicarsi dei responsabili del verdetto. Agamennone e Menelao. Si addormenta e al suo risveglio, impazzito a causa di un incantesimo lanciatogli dalla dea  Atena, si lancia contro un gregge di pecore e le massacra, credendo di uccidere i due Atridi. Rientrato in sé, si vede coperto di sangue, rendendosi conto di che cosa abbia in realtà fatto: perduto in questo modo l’onore, preferisce suicidarsi piuttosto che continuare a vivere nella vergogna, lanciandosi sulla spada che Ettore gli aveva donato alla fine del loro duello.

La storia di Aiace diviene, nella mia interpretazione, metafora dell’esistenza di tutti quegli esseri umani derisi dalle “circostanze della vita”. La derisione figura gli impedimenti, di natura esterna, all’agire come esso vorrebbe. Ecco il motivo per il quale amo questo eroe: ciascun uomo ha il dovere di abbandonare la vita quando è impossibilitato a realizzare quello che desidera!
Una istigazione al facile suicidio? Forse. Certo è che la decisione di abbandonare volontariamente la vita rappresenta l’unico colpo in canna che l’uomo possiede per sconfiggere e trionfare sul destino avverso!

 

 

 

 

 

Ascoltate una donna quando vi guarda

 

 

Ascoltate una donna quando vi guarda, non quando vi parla. Nei suoi occhi vedrete voi stessi, parte della vostra storia, velata dalla struggente malinconia del ricordo e della sua trasfigurazione in ideale. Ma, soprattutto, vedrete la delicatezza della redenzione. Gli occhi di una donna sono il solo luogo in cui l’abisso conduce alla purificazione, all’empatia universale.

 

 

 

La bellezza (di una donna) salverà il mondo

 

 

Fëdor Dostoevskij diceva: “La bellezza salverà il mondo!”. Sono parzialmente d’accordo. Parzialmente, perché non sarà soltanto la bellezza plastica o figurativa, quella di un’opera d’arte o di una veduta a salvare il mondo. Salverà il mondo la bellezza che genera bellezza! Quando affermo, perché lo percepisco, che qualcosa sia bello, quest’atto genera bellezza in me. Percepire la bellezza di una donna, tra le altre cose, fatta dell’insieme del suo corpo e della sua anima, genera bellezza in me. E per potermi rapportare a questo insieme devo necessaria-mente sforzarmi di essere bello a mia volta. Ecco perché la bellezza di una donna genera bellezza. Ecco perché la bellezza di una donna genera parole e azioni di bellezza. Ecco perché la bellezza di una donna salverà il mondo.
Anche, e soprattutto, il mondo di ciascun uomo!

 

 

 

 

Ti ci porto a Napoli, prima o poi!

 

 

Non molto tempo fa ho detto a una donna: “Ti ci porto a Napoli, prima o poi!”.
Non mi era mai capitata prima una cosa del genere. Nello stesso momento in cui proferivo queste parole mi accorgevo che suonavano come una dichiarazione d’amore. E, in effetti, lo erano davvero. Vi giuro che ancora tremo dall’emozione a pensarci.
Quando un figlio di Parthenope manifesta a una donna il desiderio di portarla a Napoli le sta aprendo la sua casa e il suo cuore, offrendole una meravigliosa prova d’amore, perché Napoli è la casa e il cuore dell’umanità!

 

Le labbra della mia donna!

 

 

 

Il segnalibro

 

 

Pensate al libro più bello che possiate mai leggere: quello della vostra vita. Certamente vi saranno delle pagine che vorrete rimembrare. Pagine tra le quali è necessario inserire un segnalibro, per ricordare la bellezza, la dolcezza, l’amore ma anche l’odio, la sofferenza e il dolore.
Quel segnalibro sarà necessariamente donna, perché le donne sono il segnalibro più meraviglioso nel libro della nostra vita!

 

 

 

Orfeo ed Euridice. Nessuna morale, solo dolore!

 

 

 

Orfeo si girò troppo presto perchè Euridice continuava a chiamarlo. La naiade non sapeva dell’ordine che l’aedo aveva ricevuto da Ade: poterla riportare nel mondo dei vivi dopo l’anabasi dagl’Inferi, accompagnati dal dio Hermes, il controllore, senza mai potersi girare a guardarla prima dell’uscita. Continuava malinconicamente a chiamarlo. Pensava che il suo amato non si voltasse perché era brutta. Appena vide finalmente la luce, Orfeo credette di essere ormai fuori dagl’Inferi e si girò. La caviglia di Euridice, quella morsa a morte dal serpente mentre fuggiva dal bruto Aristeo che voleva possederla, le doleva ancora. Per questo si era attardata. Orfeo aveva trasgredito il comando di Ade. Si disperò. Euridice intese tutto e gli sussurrò parole struggenti: “Grazie, amore mio. Hai fatto tutto quello che potevi per salvarmi!”. Gli tenne entrambe le mani, consapevole che quella sarebbe stata l’ultima volta. Hermes pianse, ma dovette riportarla da Ade. Euridice scomparve negl’Inferi. Orfeo era distrutto. Sarebbe morto poco dopo, fatto a pezzi da alcune baccanti ubriache alle quali, per rimanere fedele alla memoria dell’amata, non aveva voluto concedersi.
La favola di Orfeo ed Euridice non è didascalica. Non ha alcuna morale, solo dolore. Solo dolore!

 

 

 

Come mi vuoi

 

 

 

Era il 1989. Avevo poco più di undici anni. Nella Panda rossa di mia madre risuonava quella musicassetta, compilation dell’edizione del Festival di Sanremo di quell’anno. Questa canzone di Eduardo De Crescenzo era una di quelle inclusevi. Una delle più belle poesie d’amore che io abbia mai letto e certamente una delle cose che avrei voluto scrivere io stesso, forse molto più di alcuni bei versi di Guido Cavalcanti o Jacques Prévert o anche di certe potenti pagine di Roberto Calasso o Giorgio Agamben. Sono passati circa trent’anni da quei momenti nella Panda di mia madre, quando le parole di questa canzone cominciavano a connaturarsi in me.
Come mi vuoi? Ho ripensato spesso, negli anni, a tutto ciò. Distratto, un po’ incosciente, banale ma divertente, strano, disonesto, anche un po’ maldestro, sereno, intelligente, magari un po’ insolente, libero, egoista o bravo equilibrista, e tanto altro. Come mi vuoi? Non so se sia facile capire come mi vuoi. Posso fare tutto, inventare un trucco, comprare le tue idee, anche senza avere il resto. Come mi vuoi? Non lo so, davvero non lo so! So soltanto che lo trovo, lo trovo, vedrai se ci provo. Dev’esserci un modo per giungere a te…
Perbacco! Dev’esserci un modo. E io lo trovo!

Come mi vuoi
Eduardo De Crescenzo

 

Eduardo De Crescenzo

Amate, adorate e rispettate le donne!

 

 

 

Era settembre del 1979. Avevo da un mese compiuto due anni. Prima in hit parade, quella fine estate, era “Tu sei l’unica donna per me” di Alan Sorrenti. Ed effettivamente, chi mi tiene in braccio in questa foto è mia madre, l’unica donna per me. 
Dico questo non per ripicca contro qualcuna che mi ha mollato o per giustificare il fatto di non averne una accanto. Lo dico perché mia madre, e così la madre di ciascuno, sarà necessariamente connaturata nella madre dei miei figli, come le altre in tutti i figli. Badate bene che questa non è affatto una “diminutio” a svantaggio di una moglie o di una compagna. Ogni madre, prima di essere una persona, è un’Idea, una meravigliosa Idea, l’Idea del Bene. È un’anima che trasmigra in vari corpi, è la vera e unica “Dea sive Natura”.
Amate, adorate e, soprattutto, rispettate sempre le donne come fareste con vostra madre, perché in ciascuna di esse finirà inevitabilmente anche l’anima di colei che vi ha donato la vita!!!

 

 

Leonardo da Vinci, l’Ultima Cena e la scelta della damnatio

 

 

 

Esiste un aneddoto nella storia dell’arte italiana secondo il quale a Leonardo da Vinci mancasse soltanto un ultimo personaggio da dipingere alla sacra mensa dell’Ultima Cena: Giuda. Ebbene, il sommo artista si recò in una taverna malfamata, l’unico luogo confacente, insieme con una galera, dove poter rintracciare il modello cui ispirarsi per ritrarre uno degli uomini più vituperati dell’umanità. Vi trovò un baro ubriaco, col viso e l’anima segnati dagli eccessi. Lo ritenne perfetto. Terminato il suo celeberrimo capolavoro parietale, scoprì che quello stesso uomo, ormai ridotto ad una carogna, gli aveva fatto da modello, precedente-mente, per dipingere, al medesimo desco benedetto, le fattezze di Gesù Cristo
Che sia vero o meno, questo racconto può divenire metafora dell’esistenza di alcuni uomini. Quegli uomini, i quali, seppure destinati all’elezione, hanno scelto di vivere la damnatio, la dannazione!

 

cenacolo100Leonardo Da Vinci, l’Ultima Cena, 1495-1498
Milano, Refettorio del Convento di Santa Maria delle Grazie

 

ultima_cena_da_vinci_partParticolare dall’Ultima Cena
In primo piano, Giuda Iscariota con la mano al collo dell’apostolo Giovanni

 

 

L’Amore Materno

A mia sorella

 

L’Amore materno è l’archetipo di ciò che gli uomini chiamano amore. È il modello con cui la Natura ha vivificato qualsiasi tipo di affezione positiva leghi tra loro le creature viventi: l’amore fraterno, parentale, amicale, relazionale, carnale. L’Amore materno è il canto della Natura, il germoglio della vita. Esso è fatto di carne e di sangue, di cuore e di battiti, non di versi dei poeti, perché l’amore dei poeti non dà la vita, può soltanto celebrare ciò e chi dà la vita. L’Amore materno è la prova naturale del fatto che la Donna-Madre sia stata incoronata e messa a sedere sul trono dell’esistenza. Nella religione della Natura, di cui io sono fedele, la Donna-Madre è l’unica divinità da adorare. Benedetta, dunque, la Donna-Madre, seme della storia del mondo, fiore della passione, origine e fine della vita.