Archivi giornalieri: 2 Ottobre 2025

Giustino Martire e il Dialogo con l’ebreo Trifone

Il cristianesimo alle origini del confronto con l’ebraismo

 

 

 

 

Il Dialogo con l’ebreo Trifone di Giustino Martire, composto intorno alla metà del II secolo, è uno dei testi più significativi della letteratura apologetica cristiana delle origini. Giustino, filosofo convertito al cristianesimo e destinato al martirio a Roma sotto Marco Aurelio, sceglie la forma del dialogo, di chiara derivazione platonica, per inscenare un confronto serrato tra la fede cristiana e l’ebraismo. L’opera, pur con tratti letterari che lasciano trasparire l’intento apologetico e missionario, restituisce con vividezza il clima di tensione e di ricerca identitaria che caratterizzava i rapporti tra le due comunità religiose in quel tempo. Il personaggio di Trifone, il suo interlocutore, sembra rifarsi a un rabbino realmente esistito, vissuto all’epoca della rivolta di Bar Kokhba (132-135 d.C.), ma la sua fisionomia è filtrata e rielaborata dall’autore, al punto da risultare più un tipo letterario che una figura storica ben definita.
Il dialogo si apre con la narrazione di un incontro casuale: Giustino descrive sé stesso, vestito con il tipico mantello del filosofo, che passeggia in un portico quando viene avvicinato da Trifone e da un gruppo di ebrei suoi amici. Da questa situazione iniziale prende forma una lunga discussione, che tocca i nodi più delicati del rapporto tra l’Antica e la Nuova Alleanza. La prima parte del confronto riguarda il ruolo della Legge mosaica e il valore delle osservanze giudaiche. Trifone difende la necessità della circoncisione e delle pratiche rituali come segno distintivo dell’elezione d’Israele, mentre Giustino insiste sulla loro funzione temporanea e pedagogica, destinata a esaurirsi con l’avvento del Cristo. La Legge, secondo l’apologista, era una guida provvisoria che ha preparato il popolo eletto al compimento della promessa, ma ora, con la rivelazione cristiana, essa non è più vincolante.
La disputa si sposta, poi, sul tema messianico, che occupa gran parte del testo. Giustino cerca di dimostrare, attraverso un uso massiccio e sistematico delle Scritture ebraiche, che Gesù di Nazaret è il Messia annunciato dai profeti. Qui si rivela il cuore della sua strategia apologetica: la lettura tipologica e profetica dell’Antico Testamento. Figure, eventi e oracoli della tradizione ebraica vengono reinterpretati come anticipazioni della vicenda di Gesù. Così, il Servo sofferente di Isaia viene identificato con Cristo, i Salmi vengono riletti in chiave cristologica e persino episodi come il sacrificio di Isacco o il segno della vergine annunciato in Isaia trovano il loro pieno significato solo alla luce della vicenda evangelica. Questo metodo esegetico, tipico della comunità cristiana primitiva, ha un valore non soltanto teologico ma anche identitario: serve a legittimare i cristiani come i veri eredi delle promesse divine, contrapponendoli a un Israele accusato di cecità e incredulità.
La polemica, tuttavia, non si risolve in un attacco frontale o in una condanna sprezzante. Giustino mantiene sempre un tono di rispetto verso Trifone, che appare come un interlocutore serio e preparato, degno di attenzione. La sua opera non si chiude con una vittoria retorica netta: Trifone non si converte ma riconosce la sincerità e la coerenza dell’apologista. In questo modo, Giustino evita il tono del pamphlet e costruisce piuttosto un modello di confronto che, pur non essendo paritario, si presenta come un esercizio di ragionamento e persuasione.

Accanto all’uso delle Scritture, Giustino mette a frutto anche la sua formazione filosofica. Egli era un platonico ma conosceva anche lo stoicismo e altre correnti del pensiero ellenistico. Nel Dialogo applica categorie filosofiche al discorso cristiano, insistendo in particolare sulla nozione di Logos. Il Cristo, secondo lui, è il Logos eterno, la Ragione divina che ha guidato la storia umana e illuminato anche i filosofi pagani. Giustino arriva così ad affermare che ogni uomo che abbia vissuto secondo ragione ha partecipato, in qualche misura, al Logos, anche se soltanto con l’incarnazione di Gesù questo principio universale si è manifestato in pienezza. Tale visione consente all’apologista di collocare il cristianesimo non come una setta particolare ma come il compimento dell’aspirazione filosofica alla verità. La fede non si oppone alla ragione, ma ne rappresenta il coronamento.
Un altro tema cruciale del Dialogo è la questione del “vero Israele”. Giustino sostiene che i cristiani, riconoscendo Gesù come Messia, costituiscono il nuovo popolo di Dio, mentre Israele, rifiutando Cristo, è venuto meno alla propria vocazione. Questo argomento, pur comprensibile nella logica polemica del II secolo, avrà conseguenze decisive nei secoli successivi, poiché getterà le basi di quella teologia della sostituzione che alimenterà a lungo l’antigiudaismo cristiano. L’opera, dunque, non è solo una testimonianza del dialogo tra due fedi ma anche un documento che segna una frattura storica destinata a incidere profondamente nella storia religiosa e culturale dell’Occidente.
Dal punto di vista letterario, il Dialogo con Trifone è la prova della capacità dei cristiani di appropriarsi dei generi della cultura classica e piegarli alle esigenze dell’apologia. Il genere del dialogo filosofico, nato per l’indagine della verità attraverso il confronto dialettico, diventa qui strumento missionario e difensivo. Al tempo stesso, l’opera fornisce una delle più antiche testimonianze dell’esegesi cristiana delle Scritture e per questo è preziosa non solo come testo apologetico ma anche come fonte per comprendere la formazione del pensiero teologico patristico.
Il Dialogo con l’ebreo Trifone va letto non soltanto come un tentativo di confutazione dell’ebraismo ma come un testo che riflette un momento decisivo della storia del cristianesimo: quello della definizione della propria identità in contrapposizione all’ebraismo e, più in generale, al mondo circostante. Giustino, con la sua doppia competenza di filosofo e di credente, costruisce un discorso che unisce la ragione filosofica e l’autorità delle Scritture in una sintesi apologetica di grande forza. Il fatto che Trifone, pur restando ebreo, riconosca la buona fede del suo interlocutore, suggerisce che il dialogo non è mera finzione polemica ma esprime un reale sforzo di comprensione reciproca, pur entro confini segnati da profonde divergenze. L’opera, oggi, rimane una fonte imprescindibile per capire non solo le origini della teologia cristiana ma anche la dinamica storica del rapporto, mai semplice, tra cristianesimo ed ebraismo.