Il popolo sovrano? Solo se partecipa

La verità sulla democrazia ateniese

 

 

 

 

Quando si parla di democrazia greca antica, si fa spesso riferimento alla Atene del V secolo a.C., in particolare, al periodo compreso tra le riforme di Clistene (fine VI secolo a.C.) e la fine della guerra del Peloponneso (fine V secolo a.C.). Questo sistema politico è considerato il primo esempio storicamente documentato di democrazia ma si differenzia radicalmente dalle forme rappresentative moderne. Atene era una democrazia diretta, non una democrazia rappresentativa. Il concetto di rappresentanza politica nel senso attuale – quello in cui il popolo elegge rappresentanti che governano al suo posto – era del tutto assente.
Il cuore della democrazia ateniese era l’Ekklesia, l’assemblea dei cittadini, che si riuniva regolarmente (fino a 40 volte l’anno) sulla collina della Pnice, vicino all’Acropoli. Ogni cittadino maschio ateniese, maggiorenne e in pieno possesso dei diritti civili, aveva diritto di parola e di voto. L’Ekklesia decideva su questioni centrali come la guerra e la pace, l’approvazione delle leggi, le nomine di magistrati straordinari e l’ostracismo (l’esilio politico di cittadini considerati pericolosi per la polis).
Non esisteva alcuna mediazione tra il popolo e il potere: chi aveva diritto di cittadinanza, aveva anche il diritto – e il dovere – di partecipare. La democrazia si basava sull’idea che il potere non dovesse essere delegato a pochi ma esercitato da tutti, direttamente.
Una delle caratteristiche più distintive della democrazia ateniese era l’uso esteso del sorteggio (kleros) per l’assegnazione delle cariche pubbliche. Questo meccanismo era considerato più democratico rispetto all’elezione, che poteva favorire i più ricchi o influenti. Il sorteggio garantiva che ogni cittadino avesse la stessa probabilità di esercitare il potere, senza distinzioni di censo o fama.
Gli incarichi venivano svolti generalmente per un solo anno e molti ruoli non erano rinnovabili. Questo sistema limitava l’accumulo di potere e scoraggiava la formazione di classi politiche stabili. Tra le istituzioni principali: la Boulé, un consiglio di 500 cittadini sorteggiati tra le dieci tribù ateniesi, che preparava le proposte di legge da discutere nell’Ekklesia; I magistrati ordinari, come gli arconti, responsabili dell’amministrazione civile e religiosa, scelti anch’essi per sorteggio; il tribunale popolare (Heliea), formato da 6.000 cittadini all’anno, da cui venivano estratti i giudici per ogni processo. L’unica eccezione importante al sorteggio era rappresentata dagli strateghi (i generali), che venivano eletti per merito, in quanto la competenza militare era ritenuta fondamentale e difficilmente verificabile attraverso il caso.


Il concetto moderno di rappresentanza si basa sull’idea di delegare il potere a una minoranza che opera in nome e per conto della collettività. In Atene, questo era visto come un rischio: la delega poteva aprire la porta all’oligarchia, alla corruzione o al potere personale. Perciò, la democrazia ateniese non prevedeva rappresentanti permanenti, né parlamenti come li conosciamo oggi. Ogni cittadino era tenuto a informarsi e a partecipare, secondo l’ideale dell’isogoria (uguaglianza di parola) e dell’isonomia (uguaglianza di fronte alla legge). Tuttavia, non si può dire che non ci fosse alcuna forma di mediazione. Le cariche pubbliche, pur temporanee, erano comunque funzioni politiche. Ma chi le esercitava non rappresentava gli altri: agiva come parte del corpo civico, non al suo posto.
Va sottolineato che la democrazia ateniese era esclusiva: solo circa 10-15% della popolazione poteva partecipare. Ne erano infatti esclusi le donne, anche se cittadine ateniesi di nascita, gli schiavi, che costituivano una larga parte della forza lavoro e i meteci, stranieri residenti ad Atene, spesso economicamente attivi ma privi di diritti politici. Inoltre, la partecipazione diretta presupponeva una forte disponibilità di tempo libero, possibile solo perché una larga parte della popolazione era impegnata nei lavori manuali, spesso sotto forma di schiavitù. Per favorire la partecipazione dei cittadini meno abbienti, fu introdotta una indennità per la partecipazione politica (misthophoria), che compensava i cittadini per l’assenza dal lavoro nei giorni in cui prestavano servizio nell’Ekklesia o nei tribunali.
Platone, allievo di Socrate, fu uno dei più duri critici della democrazia ateniese. Per lui, il governo diretto del popolo era una forma corrotta di governo, al pari della tirannide e dell’oligarchia. Nel suo dialogo Repubblica, sostenne che la democrazia nascesse dal disordine e dall’eccesso di libertà e portasse inevitabilmente al caos e alla tirannide. Secondo Platone, la politica non può essere lasciata al caso o all’opinione della massa ignorante. Il popolo non ha le competenze per governare: sceglie in base alle emozioni, ai desideri momentanei, non alla verità o alla giustizia. Propose, pertanto, un modello alternativo: il governo dei filosofi, ovvero dei sapienti, gli unici capaci di comprendere il Bene e guidare la polis con razionalità. Il sorteggio e la partecipazione diretta, quindi, non erano strumenti di giustizia ma di confusione. Platone non si fidava della massa, né del principio dell’uguaglianza politica assoluta.
Aristotele, fornì una valutazione più articolata della democrazia. Nella Politica, distinse tra diverse forme di governo e classificò la democrazia come una forma degenerata del governo popolare solo quando sfugge all’equilibrio. A differenza di Platone, riconobbe che la partecipazione dei molti potesse avere un valore, soprattutto se si bilancia con il rispetto per la legge e con una certa competenza. Per Aristotele, il miglior governo è quello in cui il potere è condiviso in modo armonico tra diverse classi sociali, un sistema che lui chiamava politìa, una via di mezzo tra democrazia e oligarchia. Aristotele analizzò anche gli strumenti usati ad Atene – come il sorteggio – e accettò che potessero favorire la libertà, pur sottolineando il rischio di instabilità se tutto fosse stato affidato al caso e alla rotazione costante. Egli ammetteva che una cittadinanza attiva e ben educata fosse una risorsa ma credeva che la democrazia, per funzionare, dovesse avere limiti, leggi stabili e una struttura mista.

 

 

 

 

 

 

2 pensieri su “

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La verità sulla democrazia ateniese

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    Grazie Riccardo, un blog così denso di filosofia e cultura è un vero rischiaramento! Mi sembra di scorgere le ombre di Platone mentre commenta le riforme di Clistene, o di sentire il vento del Peloponneso tra le pagine sullostracismo. La tua isogoria nel presentare diverse visioni è apprezzata, anche se a volte mi sembrano più un misthophoria che un dialogo profondo. In più, chi non si è mai sentito sorteggiato tra un dibattito filosofico e una discussione su un film di arte? Comunque, un luogo prezioso per lanima erudita e per chi non teme di ragionare apertamente!Grow a garden mutation calculator

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