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Tajine (racconto di un sogno)

 

Una credenza molto antica riferisce che i sogni fatti all’alba, poi, si avverino.

Sono a Roma, in una Roma non reale, in un luogo che mi sembra essere la rampa che, dall’uscita della tangenziale, attraverso un tunnel, conduce allo stadio San Paolo di Napoli. Si sta preparando una sfilata di carri allegorici per il Carnevale. Lo spazio è pieno di gente in costume. È mattina. Il cielo è coperto. Sono con il mio secondo cugino Ivan, sua moglie Anna e le loro due bambine, Renata e Mariangela. All’improvviso, Mariangela, la più piccola, comincia a correre, allontanandosi, così, dai genitori, e seguita dalla sorella. Vedo il padre che esita a rincorrerla e io, con una manovra che ho visto fare molte volte agli agenti di scorta dei ministri, non mi precipito su di lei, ma allargo la mia corsa verso l’esterno, seguendola, però, con lo sguardo, per raggiungerla, poi, tagliandole la strada. Mariangela si scontra con una bimba ed entrambe cadono per terra. Mi avvicino, non affaticato dalla corsa, e le trovo sorridenti. L’altra bimba, cascando, perde un biglietto da visita, protetto da una foderina di plastica. Mi sembra essere quello di una ambasciatrice. Sopraggiunge la madre, che la prende per mano, quasi a portarla subito via. Mi inginocchio dinanzi a lei. È vestita con uno di quegli abitini bianchi, che molte volte ho visto indossare a mia sorella da bambina, il cui collo reca un orlo dorato. Ha i capelli boccolati, lunghi quel tanto da lasciarle l’esile nuca scoperta, il viso chiaro e le gote rosee. E due occhi grandi. La accarezzo e, per sincerarmi che stia bene, le domando: “Ti sei fatta male?”. Rimane impassibile. “Come ti chiami?”, aggiungo. “Tajine”. E mi dice: “Oggi devo lasciare l’Italia!”. Mi accorgo che pronuncia la erre blesa. Ciò mi frastorna. La sua voce ha qualcosa di fiabesco, ma, insieme, di maturo. “L’Italia puoi lasciarla domani. È bella. Ma quando diventerai grande, non rimandare mai ciò che devi fare, capito? Le cose importanti devi sempre farle oggi e mai domani!”. Mi guarda senza dire nulla e senza sorridere. Le chiedo, abbracciandola molto delicatamente, di darmi un bacio. Si avvicina alla mia guancia, sfiorandola appena, ma non nuove le piccole labbra.  2 Sono le 7.53 del 17 febbraio 2015. Tajine potrebbe essere mia figlia!