Sesto Empirico è stato un filosofo e medico greco-romano, vissuto tra la fine del II e l’inizio del III secolo d.C., probabilmente in Asia Minore o in Alessandria d’Egitto. La sua biografia è lacunosa: il soprannome Empirico gli derivò dalla scuola medica cui apparteneva, quella degli empirici, contrapposta alla scuola dogmatica e a quella metodica. La sua fama è dovuta, soprattutto, all’attività filosofica, poiché costituisce la fonte primaria sullo scetticismo pirroniano, una corrente che altrimenti ci sarebbe pervenuta solo per frammenti indiretti. Sesto non fu l’iniziatore dello scetticismo ma il suo grande sistematizzatore. Con lui lo scetticismo pirroniano diventò una pratica filosofica coerente, articolata e radicale. I suoi due testi principali – I lineamenti pirroniani e Contro i matematici (una raccolta in undici libri) – sono una miniera di argomentazioni contro ogni forma di dogmatismo, cioè contro la pretesa di poter affermare qualcosa di vero con certezza.
Per comprendere la filosofia di Sesto bisogna risalire a Pirrone di Elide (circa 360 – 270 a.C.), il fondatore dello scetticismo pirroniano. Pirrone riteneva che le cose fossero inafferrabili e che ogni affermazione potesse essere contraddetta da un’altra ugualmente plausibile. Da questa constatazione scaturiva la scelta di astenersi da ogni giudizio – epoché – per raggiungere la tranquillità dell’animo (ataraxia). Pirrone non lasciò scritti e il suo pensiero è stato trasmesso in modo disarticolato. Fu solo con Sesto che lo scetticismo pirroniano trovò una formulazione sistematica, che ne chiarì metodi, obiettivi e fondamenti teorici, distinguendolo dal cosiddetto scetticismo accademico, sviluppatosi nell’Accademia platonica tra III e I secolo a.C. Lo scetticismo accademico (soprattutto con Carneade e Clitomaco) sosteneva che la verità fosse inconoscibile e che si potesse solo fare affidamento su ciò che appare probabile. Sesto, invece, rifiutava anche questa posizione: l’idea che la verità sia inconoscibile è essa stessa una dottrina dogmatica, perché pretende di sapere qualcosa – cioè che la verità è inaccessibile. Il vero scettico, secondo Sesto, non afferma nulla, nemmeno che nulla può essere conosciuto.
Il cardine della filosofia scettica è l’epoché, cioè la sospensione del giudizio. Di fronte a qualsiasi questione teorica o pratica lo scettico non afferma né nega nulla in modo definitivo. Non dice “questo è vero” né “questo è falso”. Semplicemente, non prende posizione. Questa sospensione non è sterile o paralizzante: ha uno scopo pratico preciso. Infatti, secondo Sesto, la sospensione porta all’atarassia, uno stato di equilibrio e serenità dell’animo, perché si evita l’ansia, la frustrazione e il conflitto che derivano dal voler sapere ciò che forse non si può sapere.
L’epoché nasce da una strategia specifica: l’equipollenza degli argomenti (isostheneia). Ogni opinione può essere bilanciata da un’opinione contraria altrettanto plausibile. Davanti a questo bilanciamento, la ragione non può decidere con certezza e il solo atteggiamento razionale è sospendere il giudizio.

Sesto presenta anche strumenti metodologici per esercitare la sospensione. Tra questi, i più noti sono i Dieci Tropi di Enesidemo, che mostrano come ogni nostra conoscenza sia relativa al soggetto che percepisce (es. le differenze tra specie e individui); alle condizioni soggettive (salute, età, emozioni); alle condizioni oggettive (luce, distanza, posizione); alla mediazione dei sensi e delle opinioni sociali. A questi si aggiungono i Cinque Tropi di Agrippa, che mostrano come ogni tentativo di giustificare una verità cada in uno di questi problemi: disaccordo (le opinioni sono sempre in conflitto); regressione all’infinito (ogni prova richiede un’altra prova); circolo vizioso (la prova dipende da ciò che vuole dimostrare); ipotesi (si accettano princìpi indimostrati); relatività (ogni verità dipende da condizioni variabili). Da tutto questo deriva l’impossibilità di giungere a una conoscenza certa.
Sesto Empirico estende la sua critica a tutte le fonti della conoscenza. I sensi non sono affidabili: le percezioni cambiano da individuo a individuo, da situazione a situazione. Il miele è dolce per la maggioranza ma amaro per chi è malato. Le illusioni ottiche mostrano che ciò che vediamo non sempre corrisponde a ciò che è. Anche la ragione fallisce. I suoi princìpi fondamentali – come il principio di non contraddizione o di causalità – non possono essere dimostrati senza cadere in circoli viziosi o regressi infiniti. Inoltre, la ragione è soggetta alle stesse contraddizioni delle opinioni comuni: ogni argomento razionale può essere confutato da un altro altrettanto solido. Sesto attacca, in particolare, i cosiddetti “matematici”, cioè gli studiosi di qualsiasi disciplina che pretenda rigore teorico: logici, fisici, etici, grammatici, musicologi. Nessun sapere, secondo lui, può sfuggire all’incertezza. Le definizioni sono circolari, le dimostrazioni infinite e i princìpi indimostrati.
Una delle obiezioni più comuni allo scetticismo è: come si può vivere senza credere in nulla? La risposta di Sesto è chiara: lo scettico vive secondo le apparenze, senza crederle verità. Mangia, parla, cura le malattie, segue le leggi, ma non perché crede che quelle siano le cose giuste da fare in senso assoluto. Lo fa per abitudine, necessità, convenienza, come chi naviga seguendo le stelle, pur senza sapere se l’astronomia è vera. Questa posizione pratica evita sia il dogmatismo che il nichilismo. Non si nega la realtà del mondo, si rifiuta di assolutizzarla.
Le concezioni di Sesto Empirico sono state riscoperte nel Rinascimento e hanno avuto un impatto enorme sul pensiero moderno. Montaigne ne riprese lo stile dubitativo e ironico. Cartesio, paradossalmente, ne usò le argomentazioni per costruire il suo metodo del dubbio (anche se poi cercò di superarlo con il cogito). Ma è con David Hume che la critica scettica raggiunse il suo apice moderno: l’idea che non possiamo giustificare razionalmente la causalità o l’induzione viene direttamente da Sesto.
Nel Novecento, il pensiero scettico ritornò nei filosofi del linguaggio (Wittgenstein), nella fenomenologia (Husserl), nella decostruzione (Derrida) e persino nella scienza (con il falsificazionismo di Popper). In tutti questi approcci c’è una consapevolezza comune: la verità non è mai totalmente afferrabile e ciò che possiamo fare è navigare tra ipotesi, apparenze, pratiche condivise.
La filosofia di Sesto Empirico, quindi, non è un esercizio intellettuale sterile né un invito all’immobilismo. È un messaggio di liberazione dal peso delle certezze, dalla pretesa di possedere la verità, dalla polarizzazione ideologica. In un mondo dominato da verità gridate, opinioni dogmatiche, fake news e fondamentalismi, il suo scetticismo è un balsamo per la mente: un richiamo alla prudenza, all’umiltà epistemica e a un equilibrio interiore che nasce non dal sapere tutto ma dal sapere di non sapere.












