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In ricordo di Romy Schneider

1982 – 29 maggio – 2024

 

 

 

La luce dorata del tramonto parigino si rifletteva, quel 29 maggio del 1982, negli occhi di Romy Schneider, riverberi che parlavano di una bellezza intramontabile e di una tristezza nascosta dietro il sorriso affascinante. Romy, nata Rosemarie Magdalena Albach-Retty, il 23 settembre 1938, a Vienna, ha vissuto una vita che, come le sue interpretazioni sullo schermo, è stata piena di passione, dramma e di un’infinita ricerca di amore e comprensione.
Iniziò la sua carriera cinematografica a soli 15 anni, un talento precoce che trovò presto la strada verso il successo con il ruolo di Elisabetta di Baviera nella trilogia di “Sissi”. La sua interpretazione della giovane imperatrice d’Austria divenne simbolo di grazia e innocenza, catturando il cuore del pubblico di tutto il mondo. Ma mentre Sissi le regalava fama e ammirazione, la imprigionava in un’immagine di eterna giovinezza, che sentiva non le appartenesse veramente.
Determinata a dimostrare la sua versatilità come attrice, Romy abbandonò i panni della dolce Sissi per trasferirsi in Francia, dove iniziò la trasformazione artistica sotto la guida di Luchino Visconti. Il regista italiano riconobbe subito il suo potenziale drammatico, offrendole ruoli più complessi e maturi. La sua performance in Ludwig e Boccaccio ‘70 mostrò al mondo una Romy diversa, capace di esplorare le profondità dell’animo umano con una sensibilità e una intensità rare.


Dietro la scintillante carriera, la sua vita personale è stata segnata da dolori profondi. Con il suo grande amore, Alain Delon, fu una storia di passione e tormento, che lasciò un segno indelebile nel suo cuore. Le successive relazioni e il matrimonio con Harry Meyen, da cui ebbe un figlio, David, non riuscirono a placare la sua inquietudine interiore. La tragica morte del figlio, nel 1981, segnò il colpo più devastante per lei, un dolore che mai riuscì a superare completamente.
Nonostante le tragedie personali, trovò sempre rifugio nella sua arte. I suoi ruoli in La piscina, accanto a Delon, L’important c’est d’aimer, La banquière e La califfa sono testimonianze del suo impegno e della sua capacità di immergersi completamente nei personaggi, consegnando interpretazioni che trasmettevano una gamma di emozioni profonde e autentiche. La sua presenza sullo schermo era magnetica, ogni suo sguardo e gesto erano carichi di significato.
Romy Schneider ci ha lasciati troppo presto, il 29 maggio 1982, ma il suo lascito artistico continua a vivere. Romy era un’anima tormentata, una donna di straordinaria bellezza e talento, la cui ricerca di felicità e autenticità ha reso le sue interpretazioni indelebilmente umane.
Ricordare Romy Schneider significa rendere omaggio non solo all’attrice di straordinario talento, ma anche alla donna che, attraverso le sue sofferenze e i suoi trionfi, ha saputo toccare il cuore di tanti, lasciando un’impronta incancellabile nel mondo del cinema e nella memoria di chi l’ha amata.

 

 

 

 

 

Laurence Olivier (1907 – 22 maggio – 2024)

Un nome che evoca un uomo e un’era di grandezza artistica

 

 

 

Laurence Olivier, attore il cui nome rimarrà per sempre scolpito nel pantheon del teatro e del cinema, non è stato solo un interprete, ma un maestro della recitazione, capace di incarnare, con straordinaria profondità, personaggi diversi e complessi. La sua carriera, costellata di successi e riconoscimenti, costituisce un capitolo fondamentale nella storia delle arti performative.
Laurence Kerr Olivier nacque nel 1907 a Dorking, nel Surrey, e fin dai suoi primi passi nel mondo del teatro dimostrò un talento che lo avrebbe presto reso una figura di riferimento. La sua formazione presso il Central School of Speech and Drama di Londra affinò le sue innate capacità, permettendogli di emergere rapidamente sulle scene teatrali britanniche.
Olivier è forse meglio conosciuto per le sue interpretazioni shakespeariane, che rimangono pietre miliari nella storia del teatro. “Amleto”, “Otello”, “Riccardo III”: ruoli iconici che egli rese propri, infondendo a ognuno di essi una vita unica e inimitabile. La sua versione di Amleto, sia sul palco che nel film del 1948, rimane un esempio insuperato di come il teatro possa essere trasformato in cinema senza perdere la sua essenza drammatica.


Nel cinema, Olivier non fu meno straordinario. Interpretazioni come quella in “Wuthering Heights” (1939), dove vestì i panni del tormentato Heathcliff, dimostrano la sua capacità di trasmettere emozioni intense e complesse. In “Rebecca” di Alfred Hitchcock, la sua performance nei panni di Maxim de Winter aggiunse una dimensione di profondità psicologica che arricchì notevolmente la narrazione.
La recitazione di Laurence Olivier era caratterizzata da una precisione tecnica impeccabile e una profonda comprensione emotiva dei personaggi. La sua abilità nel passare da ruoli drammatici a quelli tragici, mantenendo sempre un livello elevatissimo di performance, lo distingue come uno degli attori più versatili non solo del suo tempo ma dell’intera storia del cinema.
Laurence Olivier ci ha lasciati nel 1989, ma la sua eredità vive ancora. I suoi contributi al teatro e al cinema continuano a ispirare generazioni di attori e spettatori. Guardando indietro alla sua carriera, non posso fare a meno di sentirmi colmo di ammirazione e nostalgia. Olivier non era solo un attore; era un’istituzione, un simbolo di eccellenza artistica che ha elevato gli standard della recitazione a livelli ineguagliabili.
Concludendo questo ricordo risuona un senso di perdita per un’epoca in cui la maestria attoriale di Laurence Olivier incantava il mondo. Ma rimane con noi, nel silenzio delle sale teatrali e nelle immagini dei vecchi film, un ricordo vivido e indelebile di ciò che il teatro e il cinema possono raggiungere quando un genio come Olivier li abita.

 

 

 

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La locandina del film

 

Clint Eastwood (Joe)

 

Gian Maria Volontè (Ramòn Rojo)