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12 settembre 1964

Per un pugno di dollari

L’alba del mito di Sergio Leone ed Ennio Morricone
e della leggenda di un nuovo West

 

 

 

 

Il 12 settembre 1964 è una data memorabile nella storia del cinema mondiale: esce nelle sale Per un pugno di dollari, il film che ha segnato una rivoluzione nel genere western e l’inizio di un’epoca nuova per il cinema italiano e internazionale. Diretto da un giovane e promettente regista, Sergio Leone, e con la magistrale colonna sonora di Ennio Morricone, questa pellicola non solo ha ridefinito i confini del western, ma ha anche lanciato il cosiddetto sottogenere del “western all’italiana”, noto come “spaghetti western”.
L’origine di Per un pugno di dollari ha radici in un progetto coraggioso e inusuale. I produttori Giorgio Papi e Arrigo Colombo e il regista Sergio Leone decisero di cimentarsi con un genere fino a quel momento dominio quasi esclusivo del cinema statunitense, ispirandosi al capolavoro giapponese La sfida del samurai (Yojimbo) di Akira Kurosawa. La scelta fu rischiosa: girare un western in Italia e Spagna, con un budget estremamente ridotto e con attori poco noti. Ma la visione innovativa di Leone superò ogni ostacolo, trasformando un progetto ambizioso in un fenomeno di culto.
La produzione si svolse principalmente in Spagna, nelle zone desertiche di Almería, scelte per evocare le atmosfere del selvaggio West. Nonostante le difficoltà economiche e logistiche, Leone riuscì a creare un mondo cinematografico estremamente realistico e crudele, differente dall’idealizzazione del Far West a cui il pubblico era abituato.
Al centro della pellicola c’è Clint Eastwood, all’epoca un attore sconosciuto al grande pubblico europeo, il cui volto granitico e la presenza magnetica divennero l’emblema dell’eroe solitario. Il suo personaggio, conosciuto semplicemente come “il pistolero senza nome”, segnò l’inizio di una trilogia che avrebbe rivoluzionato il genere western. Eastwood, che fino ad allora era apparso principalmente in serie TV americane, colse l’occasione di interpretare un personaggio taciturno, spietato e profondamente ambiguo, molto diverso dai protagonisti idealisti dei western classici. Accanto a lui, Gian Maria Volonté, nel ruolo di Ramón Rojo, che con la sua interpretazione carismatica e intensa creò un antagonista memorabile. Volonté, già attore di teatro e cinema d’autore, diede al suo personaggio una dimensione di malvagità raffinata, rendendolo una delle figure più iconiche del cinema di Leone.


Il successo di Per un pugno di dollari è in gran parte dovuto all’approccio visivo innovativo di Sergio Leone. Il regista abbandonò il ritmo classico del western americano, scegliendo, invece, di concentrare l’attenzione sui dettagli, sugli sguardi, sui silenzi e sui momenti di tensione dilatata. Leone utilizzò primissimi piani sugli occhi dei personaggi, una tecnica che sarebbe diventata la sua firma stilistica, aumentando così la tensione e la drammaticità delle scene. Altra caratteristica distintiva del film è l’uso sapiente della violenza, rappresentata in modo crudo e senza filtri, ben lontana dalla glorificazione eroica tipica dei western americani dell’epoca. Leone mostrava il West per quello che, secondo la sua visione, era realmente: un mondo brutale, corrotto e senza eroi. Il regista impiegò anche un montaggio serrato, che contribuì a creare un ritmo cinematografico unico e incalzante. Le scene d’azione, seppur brevi, erano potenti e cariche di adrenalina, mentre i duelli si trasformavano in veri e propri riti di tensione, dove ogni secondo contava. Questo modo di narrare, assieme alla capacità di creare personaggi complessi e moralmente ambigui, cambiò per sempre il genere western.
Un altro elemento imprescindibile del film è la colonna sonora, composta dal leggendario Ennio Morricone. La collaborazione tra Morricone e Leone, che iniziò con questo film, sarebbe diventata una delle più celebri e durature della storia del cinema. La musica di Per un pugno di dollari è indissolubilmente legata alle immagini: sin dalle prime note, lo spettatore è trasportato in un mondo di solitudine e pericolo. Il compositore creò un sound unico, utilizzando strumenti inusuali per l’epoca, come il fischio e la chitarra elettrica, e suoni naturali come il rumore degli spari o il fruscio del vento. Le melodie non solo accompagnano l’azione, ma spesso la anticipano, creando un’atmosfera di suspense che amplifica le emozioni visive. La colonna sonora divenne subito un classico e contribuì in maniera determinante al successo del film.
Per un pugno di dollari dimostrò che il cinema italiano poteva competere con Hollywood, non solo nei generi tradizionali come il dramma o la commedia, ma anche in quello che, fino ad allora, era considerato un dominio esclusivamente americano: il western.
Oggi, a distanza di decenni, Per un pugno di dollari rimane un capolavoro senza tempo, una pietra miliare del cinema che continua a ispirare registi e incantare spettatori di tutto il mondo.

 

 

 

 

 

Adolfo Celi

L’essenza del dramma, l’eco dell’arte

 

 

 

Adolfo Celi incarna l’essenza dell’arte drammatica con una presenza che risuona tanto nella memoria collettiva quanto nelle anime individuali. Nato il 27 luglio 1922, a Messina, si è distinto come attore, regista e sceneggiatore, navigando con maestria tra le acque delle arti performative.
Sin dalla giovinezza fu attratto dal palcoscenico, un luogo dove le sue emozioni trovavano espressione e la sua creatività poteva fiorire senza restrizioni. Studiò all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica di Roma, un tempio di apprendimento, che affinò il suo talento innato e gli fornì gli strumenti per dominare l’arte della recitazione.
La carriera cinematografica di Celi è segnata da interpretazioni memorabili, che lo hanno reso una figura di spicco nel panorama internazionale. Il suo ruolo nel film “Agente 007 – Thunderball” (Operazione tuono), come Emilio Largo, rimane iconico, un perfetto antagonista dal carisma oscuro e magnetico. La sua abilità di interpretare personaggi complessi con una profondità psicologica rara lo ha reso un attore ricercato in tutto il mondo.
Ma è nel cinema italiano che ha dato il meglio di sé, lasciando un’impronta indelebile con interpretazioni che hanno attraversato generi e stili. Collaborò con alcuni dei più grandi registi del tempo, tra cui Federico Fellini, Francesco Rosi e Luigi Comencini. In film come “Amici miei” e “Sotto il segno dello scorpione”, dimostrò una versatilità straordinaria, capace di passare dal dramma alla commedia con una naturalezza disarmante.


La tecnica attoriale di Celi si distingueva per la sua intensità e precisione. Era un maestro nell’uso della voce, modulandone i toni per trasmettere una gamma di emozioni che andavano dal sussurro più delicato al grido più potente. La sua presenza scenica era imponente, capace di catturare l’attenzione del pubblico con un solo sguardo. Lavorava sul personaggio con una dedizione quasi maniacale, contemplando ogni sfumatura del ruolo, per portare alla luce verità nascoste e contrasti interiori. Era noto per la sua capacità di entrare completamente nel personaggio, abbandonando se stesso e diventando una tela bianca su cui dipingere nuove vite.
Adolfo Celi ci ha lasciati il 19 febbraio 1986. Le sue interpretazioni rimangono a testimoniare la sua grandezza e il suo impegno verso l’arte della recitazione. I suoi film e spettacoli teatrali sono studiati e ammirati, fonte di ispirazione per le nuove generazioni di attori e registi. In ogni scena, in ogni parola pronunciata, Adolfo Celi ha infuso un pezzo della sua anima, rendendo ogni sua performance un’opera d’arte. Il suo nome rimarrà per sempre scolpito nella storia del cinema e del teatro, un esempio di eccellenza e dedizione per chiunque scelga di seguire le sue orme.

 

 

 

 

In ricordo di Romy Schneider

1982 – 29 maggio – 2024

 

 

 

La luce dorata del tramonto parigino si rifletteva, quel 29 maggio del 1982, negli occhi di Romy Schneider, riverberi che parlavano di una bellezza intramontabile e di una tristezza nascosta dietro il sorriso affascinante. Romy, nata Rosemarie Magdalena Albach-Retty, il 23 settembre 1938, a Vienna, ha vissuto una vita che, come le sue interpretazioni sullo schermo, è stata piena di passione, dramma e di un’infinita ricerca di amore e comprensione.
Iniziò la sua carriera cinematografica a soli 15 anni, un talento precoce che trovò presto la strada verso il successo con il ruolo di Elisabetta di Baviera nella trilogia di “Sissi”. La sua interpretazione della giovane imperatrice d’Austria divenne simbolo di grazia e innocenza, catturando il cuore del pubblico di tutto il mondo. Ma mentre Sissi le regalava fama e ammirazione, la imprigionava in un’immagine di eterna giovinezza, che sentiva non le appartenesse veramente.
Determinata a dimostrare la sua versatilità come attrice, Romy abbandonò i panni della dolce Sissi per trasferirsi in Francia, dove iniziò la trasformazione artistica sotto la guida di Luchino Visconti. Il regista italiano riconobbe subito il suo potenziale drammatico, offrendole ruoli più complessi e maturi. La sua performance in Ludwig e Boccaccio ‘70 mostrò al mondo una Romy diversa, capace di esplorare le profondità dell’animo umano con una sensibilità e una intensità rare.


Dietro la scintillante carriera, la sua vita personale è stata segnata da dolori profondi. Con il suo grande amore, Alain Delon, fu una storia di passione e tormento, che lasciò un segno indelebile nel suo cuore. Le successive relazioni e il matrimonio con Harry Meyen, da cui ebbe un figlio, David, non riuscirono a placare la sua inquietudine interiore. La tragica morte del figlio, nel 1981, segnò il colpo più devastante per lei, un dolore che mai riuscì a superare completamente.
Nonostante le tragedie personali, trovò sempre rifugio nella sua arte. I suoi ruoli in La piscina, accanto a Delon, L’important c’est d’aimer, La banquière e La califfa sono testimonianze del suo impegno e della sua capacità di immergersi completamente nei personaggi, consegnando interpretazioni che trasmettevano una gamma di emozioni profonde e autentiche. La sua presenza sullo schermo era magnetica, ogni suo sguardo e gesto erano carichi di significato.
Romy Schneider ci ha lasciati troppo presto, il 29 maggio 1982, ma il suo lascito artistico continua a vivere. Romy era un’anima tormentata, una donna di straordinaria bellezza e talento, la cui ricerca di felicità e autenticità ha reso le sue interpretazioni indelebilmente umane.
Ricordare Romy Schneider significa rendere omaggio non solo all’attrice di straordinario talento, ma anche alla donna che, attraverso le sue sofferenze e i suoi trionfi, ha saputo toccare il cuore di tanti, lasciando un’impronta incancellabile nel mondo del cinema e nella memoria di chi l’ha amata.

 

 

 

 

 

Laurence Olivier (1907 – 22 maggio – 2024)

Un nome che evoca un uomo e un’era di grandezza artistica

 

 

 

Laurence Olivier, attore il cui nome rimarrà per sempre scolpito nel pantheon del teatro e del cinema, non è stato solo un interprete, ma un maestro della recitazione, capace di incarnare, con straordinaria profondità, personaggi diversi e complessi. La sua carriera, costellata di successi e riconoscimenti, costituisce un capitolo fondamentale nella storia delle arti performative.
Laurence Kerr Olivier nacque nel 1907 a Dorking, nel Surrey, e fin dai suoi primi passi nel mondo del teatro dimostrò un talento che lo avrebbe presto reso una figura di riferimento. La sua formazione presso il Central School of Speech and Drama di Londra affinò le sue innate capacità, permettendogli di emergere rapidamente sulle scene teatrali britanniche.
Olivier è forse meglio conosciuto per le sue interpretazioni shakespeariane, che rimangono pietre miliari nella storia del teatro. “Amleto”, “Otello”, “Riccardo III”: ruoli iconici che egli rese propri, infondendo a ognuno di essi una vita unica e inimitabile. La sua versione di Amleto, sia sul palco che nel film del 1948, rimane un esempio insuperato di come il teatro possa essere trasformato in cinema senza perdere la sua essenza drammatica.


Nel cinema, Olivier non fu meno straordinario. Interpretazioni come quella in “Wuthering Heights” (1939), dove vestì i panni del tormentato Heathcliff, dimostrano la sua capacità di trasmettere emozioni intense e complesse. In “Rebecca” di Alfred Hitchcock, la sua performance nei panni di Maxim de Winter aggiunse una dimensione di profondità psicologica che arricchì notevolmente la narrazione.
La recitazione di Laurence Olivier era caratterizzata da una precisione tecnica impeccabile e una profonda comprensione emotiva dei personaggi. La sua abilità nel passare da ruoli drammatici a quelli tragici, mantenendo sempre un livello elevatissimo di performance, lo distingue come uno degli attori più versatili non solo del suo tempo ma dell’intera storia del cinema.
Laurence Olivier ci ha lasciati nel 1989, ma la sua eredità vive ancora. I suoi contributi al teatro e al cinema continuano a ispirare generazioni di attori e spettatori. Guardando indietro alla sua carriera, non posso fare a meno di sentirmi colmo di ammirazione e nostalgia. Olivier non era solo un attore; era un’istituzione, un simbolo di eccellenza artistica che ha elevato gli standard della recitazione a livelli ineguagliabili.
Concludendo questo ricordo risuona un senso di perdita per un’epoca in cui la maestria attoriale di Laurence Olivier incantava il mondo. Ma rimane con noi, nel silenzio delle sale teatrali e nelle immagini dei vecchi film, un ricordo vivido e indelebile di ciò che il teatro e il cinema possono raggiungere quando un genio come Olivier li abita.

 

 

 

Sergio Leone, 90 anni fa nasceva il regista a cui bastarono sette film per raccontare tutto

 

di

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Sergio Leone (1929-1989)

 

Massimo Troisi, il poeta che regalava sogni

 

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Qualche tempo fa la sua spalla storica, Lello Arena, ha detto che per ridare la speranza all’Italia servirebbero 10mila Troisi. Qualcuno l’ha presa come una provocazione, eppure non è così. Ha proprio ragione...

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Massimo Troisi (1953 – 1994)

 

 

Per un pugno di dollari: ecco come il film di Sergio Leone è diventato leggenda

 

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Clint Eastwood è stato la disperazione di Sergio Leone. Quando se lo ritrovò davanti fu sconvolto. “Ha un viso d’angelo, è inespressivo, anzi ha due espressioni: una col cappello e una senza. Non è adatto per il mio Joe”. Il regista avrebbe voluto…

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La locandina del film

 

Clint Eastwood (Joe)

 

Gian Maria Volontè (Ramòn Rojo)