Archivio mensile:Gennaio 2016

Toppe

 

Quanti sbreghi nelle toppe. Quanta miseria. Una fretta rozza di cose, il trito dei discorsi smozzicati, gragnole di rosari nel chiuso delle tasche. Briciole che ci graffiano le dita. Una vecchiaia di odori, astanterie, cucine predate da una caligine di colpe. Presi a cucchiaiate. Ricuciti a mezz’aria. In bilico da piani ignobili. Pareti di alfabeti per miopi. Arrampicati come gatti sulle ringhiere. Ci guardiamo. Tutti. Lo stadio della pelle. I denti. Se dimagriamo. Se ingrassiamo. Se siamo vegani o crudisti. Passeracci sotto una pioggia che massacra. Puniti. Spericolati. Vinti.

Patrick Gentile

 

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L’Illuminismo a Milano: Il Caffè, Pietro Verri, Alessandro Verri e Cesare Beccaria

 

Il Caffè

Questa rivista, uscita in settantaquattro numeri, uno ogni dieci giorni, tra il giugno 1764 e il maggio 1766, raccolse intorno a sé i maggiori intellettuali dell’Illuminismo milanese. Fondata da Pietro Verri, ad essa facevano capo i membri dell’Accademia dei Pugni, società culturale tra i cui soci sarebbero stati annoverati anche Primo Carnera, Nino Benvenuti, Patrizio Oliva e caffe-201x300Agostino Cardamone (scherzo!), e così chiamata a causa dell’epilogo molto animato delle riunioni: scazzottate degne di Bud Spencer e Terence Hill. Gli articoli, tutti molto interessanti e riguardanti gli argomenti più vari e di interesse pubblico, ebbero le firme prestigiose di Pietro e Alessandro Verri, Cesare Beccaria, Pietro Secchi, Paolo Frisi, per citare i più autorevoli. Il comitato di redazione decise di rivolgersi ad un pubblico nuovo di lettori, non solo sapientoni e letterati, ma anche gente comune, piccoli professionisti, artigiani e donne. Questa fu una grande novità perché permise al sapere di uscire dalla torre d’avorio, dove, per secoli, era stato confinato, e di mettersi al servizio di tutti, secondo quel precetto tipicamente illuminista dell’uso intelligente della conoscenza per migliorare la società. Nei quattro fogli del Caffè, infatti, si poteva leggere tutto quello che era di interesse pubblico, dal commercio all’economia, dalla medicina all’agricoltura, dalla sanità alla politica.

Pietro Verri

Figlio del conte Gabriele e di Barbara Dati, nacque a Milano il 12 dicembre 1728. Il padre, col quale non ebbe mai un buon rapporto, fu molto severo, tanto da farlo studiare presso i collegi più terribili di Milano e provincia, esperienze che segnarono profondamente l’animo del giovane Pietro.Pietro_Verri Al ritorno in famiglia, i litigi col babbo ripresero più forti di prima, fino alla rottura definitiva, quando divenne l’amante di Maria Vittoria Ottoboni Boncompagni, moglie del duca Gabrio Serbelloni, gente molto in vista a Milano. Fu scandalo e il conte Gabriele, un alto funzionario del governo milanese, per lo scorno quasi non usciva più di casa. La relazione con la duchessa, donna molto colta e chic, instillò nel giovanotto la passione per il teatro e per la cultura francese, oltre che la voluttà nell’alcova. Il ménage con l’aristocratica amante, però, dopo qualche anno finì, lasciandolo così male da decidere di darsi alla vita militare, andando a combattere come ufficiale dell’esercito austriaco contro i prussiani. Al rientro a Milano fondò, col fratello Alessandro e i “pugili” della citata Accademia, Il Caffé e, allo stesso tempo, prese lavoro nell’amministrazione pubblica austriaca del capoluogo lombardo. A questi anni risale la composizione delle sue opere principali: le Meditazioni sull’economia politica, il Discorso sull’indole del piacere e del dolore, le Osservazioni sulla tortura, e i Ricordi a mia figlia, scritto per la figlioletta Teresa, nata proprio poche settimane prima. Posso dire con (quasi) certezza che, senza Pietro Verri e i suoi instancabili sforzi per la cultura e la sua diffusione, l’Illuminismo milanese sarebbe stato molto meno luminoso.

Alessandro Verri

Fratello minore di Pietro, nacque nel 1741 e fu più furbo del maggiore perché, per non farsi ammorbare oltremodo dal padre, molto presto, fece i bagagli e, dopo aver collaborato al Caffè, se ne andò Alessandro_Verria Parigi e Londra e, poi, a Roma, dove visse fino alla morte, nel 1816. Appassionato di teatro e lui stesso attore per diletto, fu uno dei primi a tradurre le opere di Shakespeare in italiano. Scrisse anche due romanzi, le Avventure di Saffo poetessa di Mitilene e la Vita di Erostrato. Avendo vissuto così tanto tempo lontano da Milano, pian piano, abbandonò lo spirito illuminista che aveva caratterizzato la prima fase della sua vita e ripiegò su visioni un po’ più cupe dell’esistenza, che saranno, poi, determinanti nel Romanticismo. Ne è prova una sua opera, le Notti romane al sepolcro degli Scipioni, scritto che compose in occasione del ritrovamento archeologico delle sepolture di quest’importante famiglia della Roma antica, in cui figura, che dalle tombe escano le ombre di romani illustri per discutere della grandezza e della rovina dell’impero più potente della Terra.

Cesare Beccaria

Il marchese Beccaria nacque a Milano nel 1738. Come Pietro Verri ebbe grosse e dure litigate con i genitori, a causa di una donna che, però, non era  moglie di un nobile conosciutissimo, quanto una ragazza di famiglia povera, Teresa Blasco, che lui amò tantissimo e che, grazie Cesare_Beccaria_in_Dei_delitti_cropanche all’aiuto proprio del Verri, il quale mediò con i suoi parenti, riuscì a sposare. Oltre ai contributi giornalistici al Caffè, Beccaria fece due cose importanti nella vita: la prima, diede i natali alla figlia Giulia, la futura madre di Alessandro Manzoni, e la seconda, scrisse Dei delitti e delle pene, un saggio che ebbe un successo esagerato in tutta Europa, tanto da farlo diventare l’idolo di molti dei filosofi dell’Illuminismo francese, in particolare di Voltaire. In questo trattato, colmo di spirito illuminista, Beccaria sostiene l’abolizione della pena di morte perché, a suo avviso, questa non fa né diminuire i crimini, né è buona come deterrente. “È più utile prevenire i delitti mostrando la certezza della pena – scrive l’autore – perché, per un criminale, è meglio morire che passare la vita in galera. Ma quando un ergastolano scappa dal carcere e mette in pericolo la vita dei cittadini, allora può essere messo a morte.” Questo libro dovrebbe rappresentare un articolo fondamentale della Costituzione di molti paesi del mondo, i quali, ahimè, evidentemente, ancora non hanno ancora visto o sentito parlare di Illuminismo.

 

“Vorrei appassionarmi di più alle persone”

 

Vorrei appassionarmi 
di più alle persone
allontanare i cani da guardia
da davanti il portone
regalare frutta nel cesto
ai nuovi vicini
stringergli la mano sullo steccato
che divide i nostri giardini
apparecchiare
sotto il pergolato
e concederci 
il bicchiere della staffa
fumare senza fretta
rievocare l’infanzia
i blocchi di partenza
vorrei avere ore e spazio
un modo per farci strada
gli uni negli altri
dedali di sassi
radici sottoterra
strami ed abissi
ferite da cucire
garze per rattoppare
certe stanze rimaste disabitate
quindi abitarci
poi poi starcene zitti 
nell’erba bagnata
col sussurro delle rane
e quello delle bombe 
farlo adesso che sono 
ancora lontane.

Patrick Gentile

 

persone

 

“I Canti” di Giacomo Leopardi

 

Per anni, ho tenuto questa sublime raccolta poetica sul comodino accanto al mio letto, leggendone, ogni sera, qualche verso, prima di addormentarmi. tumblr_mibi5ajPwA1s2cwoio1_1280In copertina dell’edizione che posseggo, vi è raffigurato un particolare del quadro di Giuseppe Pietro Bagetti, Notturno con effetto di luna (immagine a destra), bellissimo. È stato il libro che in assoluto ho regalato di più, ovviamente, alle donne. Tutte quelle che, finora, sono state importanti per me, ne hanno una copia, con la mia dedica in prima pagina. Ad ogni modo, comunque, nulla di meglio degli stessi versi di Leopardi potrebbero dare spiegazione di se stessi, ma, se riportassi qui di seguito, verso dopo verso, tutti i componimenti inclusi nei Canti, commetterei un plagio maldestro, nonostante non debba diritti d’autore a nessuno. Il rimando al testo leopardiano, qui, è d’obbligo, altrimenti, qualsiasi mio sforzo sarebbe inutile. Quindi, consiglio vivamente, una volta terminata la lettura di questo articolo, di giacomo-leopardi-ragazzoaprire una qualsiasi edizione dei Canti, oppure, di digitare Canti in un qualsiasi motore di ricerca su internet, e leggere. Solo così, l’arte del grandissimo Giacomo Leopardi (immagine a sinistra) potrà far breccia nei cuori dei lettori. Ciò, tuttavia, non mi esenta dal compito di raccontarne i tempi della composizione, i temi e tutte quelle altre utili notizie che possano essere preparatorie alla lettura vera e propria. Bene, i testi poetici contenuti in questa cassaforte di preziosi preziosissimi furono composti dall’autore lungo quasi tutta la sua vita e pubblicati man mano, prima di finire nelle due principali edizioni dei Canti, del 1831 e del 1835. Il tramonto della luna e La ginestra, invece, furono aggiunti nella definitiva edizione postuma del 1845. Ora, se qualcuno mi chiedesse: “Di cosa parla l’Infinito?”. Io risponderei: “Questo idillio è una proiezione della mente dell’autore, una mente infinita, a beautiful mind, direbbero gli americani. Solo, sul colle dell’Infinito, non lontano da casa, a Recanati, al poeta non è possibile ammirare il panorama, a causa della siepe che da tanta parte de l’ultimo orizzonte il guardo esclude (vv. 2-3). E, allora, lui immagina, con la sua mente percorre l’infinità dello spazio e del tempo, l’eternità, e, per una volta felice, il naufragar gli è dolce in questo mare. “E il Bruto minore?”. “Questa canzone ha un significato molto profondo. Bruto, uno degli assassini di Cesare, è a Filippi, sul campo di battaglia, dove, insieme con Cassio, è stato sconfitto da Antonio. L’uomo, assassinando Cesare il dittatore, in cuor suo sa di aver agito per difendere la Repubblica e la libertà di Roma e, per questo, non è soltanto la sconfitta in battaglia a rattristarlo, quanto piuttosto il fatto che il suo gesto e il suo amore per la libertà non siano stati compresi. cetraCosì, si uccide, sicuro di non essere ricordato da nessuno”. “E’ vero che L’ultimo canto di Saffo tratta un tema simile al Bruto minore?”. “In un certo senso sì. La poetessa Saffo (immagine a destra) è innamorata di Faone, che la respinge, perché, nonostante sia molto colta e compita, non è bella. La Natura maligna ha fatto sì che gli uomini preferissero la bellezza del corpo alle virtù dell’intelletto e, nell’impossibilità di trovare un senso a queste cose, Saffo si uccide”. “Quali sono gli argomenti della canzone Alla Primavera o delle favole antiche?”. “Beh, il riferimento a questa stagione, simbolo della natura che ogni anno si rinnova, è inteso dal poeta in contrapposizione alla primavera della storia, vale a dire a quell’età originaria in cui gli uomini vivevano in armonia con la Natura avvertendone, grazie alla forte potenza immaginativa di cui erano dotati, aspetti nascosti e spirituali in ogni sua creatura. Purtroppo, però, a causa dell’evoluzione delle civiltà, essi hanno perso tutto ciò, conoscendo il vero delle cose, ovvero la tristezza e l’infelicità.” “Chi era Silvia e che cosa fece per meritarsi la splendida canzone a lei dedicata?”. “Silvia, in realtà, si chiamava Teresa Fattorini ed era figlia del cocchiere di casa Leopardi. Non è facile stabilire se il poeta ne fosse stato innamorato, tanto da dedicarle questa lirica. In essa, infatti, il rapporto tra i due giovani si risolve in un altro modo: dal balcone di casa sua, Giacomo sente Silvia cantare la speranza nel domani. Insieme, sognano l’avvenire, quell’avvenire che, giunto, vedrà la fanciulla morta nel fiore degli anni, così come tutte le speranze in essa riposte”. “E su La quiete dopo la tempesta?”. “I temi di questa canzone, il cui titolo è diventato anche un comune modo di dire, sono riconducibili ai concetti di piacere e dolore nel pensiero di Leopardi. Passata una tempesta, la vita riprende con una certa gioia, si riguadagnano le consuete attività. Questo piacere però, è effimero e momentaneo. E’ soltanto una piccola interruzione del dolore, rappresentato dalla tempesta. La vita continua, inesorabilmente dolorosa ed infelice, aspettando solo di aver fine con la morte”. “I contenuti de La quiete dopo la tempesta sono simili a quelli de Il sabato del villaggio?”. 365196-800x535-500x334“Sì. La felicità di poter avere l’indomani, una giornata di riposo, è presto annullata dal pensiero che, comunque, tutto tornerà com’è, passato quel giorno festivo. Il piacere dura un momento, non di più”. “La ginestra o il fiore del deserto è tra le ultime composizioni dell’autore: vi è concentrato il suo pensiero? Rappresenta, quindi, una sorta di testamento spirituale?”. “Decisamente  sì.  Fu  scritta  proprio con  questo intento. Da Torre del Greco, Leopardi poteva ammirare quotidianamente il Vesuvio, sulle cui pendici spoglie e riarse crescevano soltanto ginestre. Queste piante, nella simbologia leopardiana, rappresentano l’uomo: esse resistono alla furia del Vesuvio – Natura, ricrescono sulla lava pietrificata, nonostante le continue eruzioni. È contro la Natura crudele che gli uomini devono combattere, non contro loro stessi. Anzi, unendosi, essi possono affrontare insieme i dolori della propria condizione”. Credo che a questo punto l’interrogazione sia finita. Chissà che voto mi darebbe il mio professore di Letteratura Italiana Guido Arbizzoni, semmai leggesse questo articolo. Un altro 30 e lode? Forse. Magari, un giorno, glielo mando.

Perché scrivo

 

A volte qualcuno mi chiede perché scrivo. Così sulle prime mi ritrovo a farfugliare, a incartarmi. Poi recupero il ritmo e allora glielo spiego. Che a me scrivere serve come la fame e come la sete. È motore e tubo di scappamento. Aria e merda. Io devo fiutare il tanfo nauseante della vita e poi pestarlo sulla carta. Se non lo faccio non riesco a vedere nemmeno l’atroce bellezza dell’esserci. Devo scriverla l’esistenza. Se voglio farci pace.

Patrick Gentile

 

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Il come

 

Su Facebook la tendenza è quella di fare opinionismo. Tutti parlano di tutto. Politica. Sport. Ecologia. Attualità. Quasi che non siano bastati, tra elementari, medie e liceo, tredici anni di temi in classe in cui ci veniva chiesto, a noi ragazzini indifferenti e idealisti di quegli anni sciolti, ciò che pensavamo del mondo. Poi ci hanno dato i social. E quei temini (sovente con gli stessi identici errori ortografici di allora) si perpetuano ‘in omne tempus’. Tutti a pronunciarsi su tutto. Lo stesso fervore. La stessa pletora. La stessa enfasi. La stessa retorica. In una corsa alla divulgazione che quasi fa spavento. Il telegiornale e poi il social, adiacenti l’uno all’altro come un “Porta a Porta” senza fine. Opinionisti sulle nostre belle sedie ergonomiche. O sui marciapiedi. Poco cambia. L’importante è dir la propria. L’importante è dirla, oppure averla detta. Come, fa niente. Non siamo mica dei Voltaire. E del come non frega più una mazza a nessuno. Che noia. Baudelairiana noia. Spleen.

Patrick Gentile

 

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16 gennaio 2016. Sorrento. Libreria Indipendente

 

Presentazione del libro di Carmine Iovine, “Asharm. Dove Gandhi ha sconfitto la camorra”, Marotta&Cafiero Editori, 2015.
La storia dell’Asharam Santa Caterina, a Castellammare di Stabia, nato in una palazzina un tempo appartenuta ad una potente famiglia camorristica. Nelle stesse sale dove si decideva della vita e della morte, adesso si gioca e si vive l’esperienza bellissima dell’accoglienza, dell’ascolto, della conoscenza e della partecipazione. E della condivisione. Sì, perché ad Asharam convivono varie associazioni: Legambiente e Libera, un’officina popolare per la riparazione delle biciclette – l’Officina Filangieri, dal nome della locale biblioteca restaurata con il contributo delle associazioni-, una radio libera e tante iniziative per i bambini, i giovani e gli adulti di un quartiere considerato quello con il più alto tasso criminale della città stabiese.
Introduzione e interviste a Carmine Iovine e Giuseppe Trotta, di Riccardo Piroddi. Letture di Marilena Altieri e Frenk Tortora. Riprese video di Antonino De Angelis. Organizzazione generale, musiche e foto di Mimmo Bencivenga, proprietario della Libreria Indipendente di Sorrento.

 

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9 gennaio 2016. Sorrento. Libreria Indipendente

 

Incontro con Michael Deeley Jr, figlio del produttore del film “Blade Runner” di Ridley Scott (1982), con Harrison Ford e  Rutger Hauer.
La storia, gli interpreti, la produzione e una serie di aneddoti di un film considerato un cult del genere fantascientifico, raccontati da chi è stato osservatore diretto di alcune delle fasi di pre-produzione. Interpretazione di alcuni inserti, recitati dal vivo, creati ex-novo da Michael Deeley Jr, per comprendere il cosiddetto “cuore nascosto” dell’Opera.

Moderatore e intervistatore Riccardo Piroddi. Recitazione di Marilena Altieri, Teresa Vitiello, Salvatore Guadagnuolo, Mimmo Bencivenga e Michael Deeley Jr. Foto di Nino Casola. Video di Antonino De Angelis. Organizzazione generale e musiche di Mimmo Bencivenga, proprietario della Libreria Indipendente.

 

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8 gennaio 2016. Sant’Agata sui Due Golfi. Risto-Bar Centrale

 

Ciak, si legge! Terzo appuntamento con la rassegna letteraria-cinematografica, organizzata dall’Associazione Giovanile “361°”. Dal romanzo di Roald Dahl, “La fabbrica di cioccolato” (1964), al film di Tim Burton “La fabbrica di cioccolato” (2005), con Johnny Depp, Freddie Highmore, David Kelly, Helena Bonham Carter e Noah Taylor.
Un filo tra i libri e il cinema, tra la letteratura e i grandi film. Un filo che lega tutta la serie di appuntamenti: si comincia con la proiezione di un film, tratto da un romanzo di successo e, in conclusione dello stesso appuntamento, sarà suggerito il libro da cui è tratta la pellicola presentata nel successivo. L’acquisto del libro, oggetto dell’incontro susseguente, sarà possibile alla fine di ogni appuntamento!
Conduzione e moderazione di Riccardo Piroddi. Letture di Rosaria Langellotto. Organizzazione generale di Ilaria Ferraro, in collaborazione, per la parte tecnica, con i giovani dell’Officina “361°”. Il cioccolato che i partecipanti hanno potuto degustare è stato messo a disposizione dal rinomato laboratorio di pasticceria-cioccolateria del “Roxy Bar”, di Giuseppe Esposito. Fotografie di Pier Luigi Tizzano.

 

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La “superiorità etica e culturale” del burqa

 

Questa foto voglio dedicarla a quante e quanti si ricordavano (e si ricordano) dei diritti delle donne negli eticamente avanzati stati arabi, soltanto quando l’ultimo Presidente del Consiglio, eletto dai cittadini, rantolava di inferiorità culturale o quando lo fa qualche esponente politico, ideologicamente loro avverso.
Ingabbiare le donne, seppure in una stia di tessuto, è un chiaro segno di inferiorità culturale. Punto!
Su questo non c’è nulla da discutere. Nessun buonismo, nessuna filantropia e nessuna Boldrini. Solo inferiorità etica e culturale!!!

 

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