“Venne infine un tempo in cui tutto ciò che gli uomini avevano considerato come inalienabile divenne oggetto di scambio, di traffico, e poteva essere alienato; il tempo in cui quelle stesse cose che fino allora erano state comunicate ma mai barattate, donate ma mai vendute, acquisite ma mai acquistate – virtù, amore, opinione, scienza, coscienza, ecc. – tutto divenne commercio. È il tempo della corruzione generale, della venalità universale, o, per parlare in termini di economia politica, il tempo in cui ogni realtà, morale e fisica, divenuta valore venale, viene portata al mercato per essere apprezzata al suo giusto valore”.
(Karl Marx, Miseria della filosofia, 1847, par. 1)
Uno dei nuclei teorici più rilevanti della filosofia di Karl Marx è la riflessione sul processo di mercificazione universale che caratterizza il modo di produzione capitalistico. Nel celebre passo riportato, in cui afferma che “virtù, amore, opinione, scienza, coscienza” divengono oggetto di traffico e possono essere alienati, Marx porta alle estreme conseguenze la sua analisi della forma-merce: ciò che appare come semplice logica economica diventa, in realtà, principio ordinatore dell’intera vita sociale.
In Il Capitale, Marx definisce la merce come l’elemento cellulare della società borghese. Essa non è soltanto un bene materiale ma una forma sociale che struttura i rapporti tra gli individui. Nel passo citato in apertura, il movimento di estensione della forma-merce appare in tutta la sua radicalità: non solo i prodotti del lavoro ma le qualità più propriamente umane vengono sussunte nel meccanismo dello scambio. L’oggettivazione del lavoro, già descritta nei Manoscritti economico-filosofici del 1844, si traduce qui in una generalizzazione della logica mercantile. L’alienazione non è più confinata alla sfera della produzione, bensì investe le relazioni affettive, le espressioni intellettuali, le dimensioni etiche. La “corruzione generale” e la “venalità universale” a cui Marx fa riferimento non devono dunque essere intese in senso morale, bensì strutturale. Esse descrivono il funzionamento intrinseco di un sistema che trasforma l’incommensurabile in misurabile, l’invalutabile in prezzo, dissolvendo progressivamente i legami comunitari e le forme di riconoscimento simbolico non mediati dal denaro.
La dinamica qui delineata si lega strettamente alla categoria di alienazione. Se nei testi giovanili era intesa soprattutto come estraneazione dell’operaio rispetto al prodotto del proprio lavoro, in seguito Marx ne amplia il raggio, evidenziando come il dominio del capitale si traduca in una vera e propria reificazione dell’esistenza. L’uomo non si rapporta più a sé stesso e agli altri in modo immediato ma attraverso la mediazione del valore di scambio. La coscienza, l’amore o la virtù, nel momento in cui diventano alienabili, cessano di essere espressioni autentiche dell’essere sociale e si trasformano in oggetti estranei, valutati secondo criteri estrinseci. Il richiamo ironico al “giusto valore” mostra con chiarezza la violenza epistemica del capitalismo: esso non si limita a sfruttare ma ridefinisce le categorie stesse della valutazione, sostituendo al giudizio etico la quantificazione monetaria. Il “giusto” non è più l’equo o il vero, bensì il prezzo determinato dal mercato.

La modernità capitalistica, nella lettura marxiana, coincide con un processo di disincanto radicale. I rapporti personali e comunitari, fondati su vincoli simbolici e non economici, vengono progressivamente dissolti e ricondotti a rapporti di scambio. Questa capacità di erodere forme di vita preesistenti non produce tuttavia una liberazione, bensì una nuova forma di dominio: l’assoggettamento universale al mercato come criterio esclusivo di significazione sociale.
L’attualità di questa diagnosi risulta evidente se applicata al contesto contemporaneo. L’economia digitale rappresenta la prosecuzione e l’intensificazione della dinamica individuata da Marx. L’amore si riduce a interazioni algoritmiche nelle piattaforme di dating, la coscienza politica si misura in termini di visibilità e interazioni sui social network, la scienza è spesso vincolata a logiche brevettuali e di profitto. Perfino l’attenzione, le emozioni e l’identità personale sono oggetto di valorizzazione economica, costituendo il cuore del cosiddetto capitalismo delle piattaforme.
Ciò che Marx individuava come tendenza storica trova dunque, oggi, un compimento ulteriore: l’interiorità stessa viene esposta al mercato e trasformata in risorsa. La “venalità universale” diventa il tratto costitutivo della vita sociale tardo-moderna.
Il passo marxiano riportato all’inizio, pertanto, illumina un aspetto fondamentale della sua filosofia: il capitalismo non è semplicemente un sistema economico ma un dispositivo totalizzante che trasforma i valori morali, affettivi e intellettuali in valori di scambio. L’alienazione, lungi dall’essere una condizione limitata al lavoro industriale, si configura quale condizione esistenziale dell’uomo nel mondo capitalistico. La critica marxiana, perciò, non si esaurisce nella denuncia dello sfruttamento ma si estende alla messa in luce di una mutazione antropologica: la riduzione dell’umano a merce. È in questo senso che la categoria di “venalità universale” mantiene una forza interpretativa intatta, capace di decifrare anche le forme più recenti della contemporaneità capitalistica.

Bernard de Mandeville (1670-1733), medico e filosofo di origini olandesi, naturalizzato inglese, pubblicò la sua opera più celebre, La favola delle api: vizi privati, pubbliche virtù (The Fable of the Bees: or, Private Vices, Publick Benefits), nel 1714. Questo poemetto satirico è un testo provocatorio e fondamentale per comprendere le radici del pensiero economico moderno e le tensioni etiche della società capitalistica emergente.
La miseria della filosofia di Karl Marx, pubblicata nel 1847, è una delle opere più significative del pensiero marxiano, imperniata su una critica serrata alle teorie di Pierre-Joseph Proudhon e alla sua Philosophie de la misère (1846). Nella prima metà del XIX secolo, l’espansione del capitalismo stava generando una rapida crescita economica, accompagnata da disuguaglianze sempre più marcate tra le classi sociali. La borghesia industriale si affermava come classe dominante, mentre la classe operaia, vittima di sfruttamento e di dure condizioni di lavoro, cominciava a organizzarsi per rivendicare diritti e condizioni più eque. In questo contesto, il socialismo emergeva come un movimento articolato in diverse correnti e interpretazioni. Proudhon, tra i principali teorici del socialismo francese, tentava di proporre soluzioni ai problemi della società capitalista, combinando filosofia, economia e morale. Tuttavia, la sua opera, pur animata da uno spirito progressista, fu considerata da Marx teoricamente incoerente e insufficiente per affrontare le contraddizioni del capitalismo. Esiliato a Bruxelles, Marx stava sviluppando il suo materialismo storico, approfondendo l’analisi sull’economia politica e sulla storia. La critica a Proudhon costituì per lui l’occasione di affinare il proprio pensiero, differenziando il socialismo scientifico da quello utopistico.
Marx accusò Proudhon di un approccio superficiale e idealistico, basato su una presunta scienza universale dell’economia fondata su princìpi di giustizia eterna. Per esempio, Proudhon proponeva una “banca del popolo” per offrire credito senza interessi e un sistema di scambio fondato sul valore del lavoro. Marx stroncava tutto ciò, sostenendo che il problema centrale risiedesse nella struttura stessa del capitalismo, basata sulla proprietà privata dei mezzi di produzione e sullo sfruttamento del lavoro salariato.
Nel magnum opus Due trattati sul governo, pubblicata anonima nel 1690, John Locke tesse una tela intricata e raffinata di idee, che hanno plasmato i fondamenti del pensiero liberale moderno. Quest’opera non è un semplice trattato politico, ma attraversa l’essenza stessa della libertà e della legittimità politica, un inno ai diritti innati dell’individuo e alla sovranità del popolo.
L’etica protestante e lo spirito del capitalismo di Max Weber, pubblicata nel 1905, è un’opera fondamentale che sonda l’influenza della religione sullo sviluppo economico e culturale dell’Occidente. Attraverso un’analisi meticolosa e interdisciplinare, l’Autore intreccia filosofia, storia, letteratura e religione, per rivelare come l’etica protestante abbia contribuito a modellare il moderno capitalismo.



Jean-Jacques Rousseau, nel suo Discorso sull’origine e i fondamenti della diseguaglianza tra gli uomini, pubblicato nel 1755, esamina le radici profonde e le conseguenze della diseguaglianza umana, presentando una critica serrata alle società moderne, basate sulle istituzioni e sulla proprietà privata. Quest’opera si distingue quale uno dei testi fondamentali nella storia della filosofia politica e sociale, proponendo una riflessione profonda che interpella ancora oggi il lettore su temi di bruciante attualità.
