Archivio mensile:Gennaio 2018

Il ruolo del Mediterraneo nella geopolitica e nella geostrategia

 

Parte IX

 

L’Unione per il Mediterraneo (UPM)

 

 

Con una Dichiarazione, firmata da 43 Stati e dalla Commissione Europea, nel luglio 2008, il vertice del Capi di Stato e di Governo, a Parigi, varò l’Unione per il Mediterraneo (UPM), trasformando il PEM, che aveva operato dal novembre del 1995 fino al 2008. Componevano l’UPM 27 paesi membri UE, 12 paesi dell’area mediterranea (Algeria, Autorità Palestinese, Egitto, Giordania, Israele, Libano, Marocco, Mauritania, Monaco, Siria, Tunisia e Turchia) e 4 paesi dell’area balcanica (Albania, Croazia, Bosnia-Erzegovina, Montenegro). L’UPM presentava, rispetto al PEM, due novità principali: il carattere geopolitico e quello politico-istituzionale. Il carattere geopolitico derivava dalla partecipazione, rispetto al PEM, di paesi mediterranei, non facenti parte dell’UE, con un ampliamento, quindi, del formato mediterraneo, comprensivo anche di altri paesi europei non-UE. La configurazione geopolitica dell’UPM differiva, quindi, sostanzialmente da PEM, con un rapporto prioritario dei paesi UE con l’insieme dei paesi arabi e la scommessa di includere sia arabi che israeliani, quasi a sottolineare il ruolo di mediazione dell’UE, come fattore di pace nello storico conflitto. L’allargamento ai Balcani occidentali, tuttavia, attenuava, in parte, la valenza euro-mediterranea e caricava l’Unione di un carattere di eterogeneità, sotto il profilo politico e della sicurezza, risultando, alla fine, più problematica per la realizzazione di obiettivi di cooperazione e di governance. Il carattere politico-istituzionale evidenziava ancor più le differenze con il PEM, in quanto emanazione dei governi e non dell’UE. Mentre il PEM esprimeva la politica UE, l’UPM una politica intergovernativa, in quanto l’UE partecipava solo come semplice membro. L’UPM nacque con grandi speranze, anche se non mancarono voci critiche sul formato politico-istituzionale, che avrebbe reso non facile la sintonia tra tanti membri, appartenenti, peraltro, ad aree eterogenee, con esigenze ed obiettivi non del tutto convergenti. La parità assicurata, tra membri UE e membri non-UE, costituiva certamente un passo avanti, ma che non garantiva, di per sé, la cooperazione. Purtroppo, l’esperienza ha dimostrato quanto fondate fossero le perplessità e, oggi, bisogna registrare una frammentazione della politica mediterranea dell’UE, causata dal dualismo presente all’interno dell’UPM. Questa frammentazione è anche il portato dell’involuzione, che sta subendo l’UE, a causa del mancato approfondimento della propria identità politica ed istituzionale. Basterebbe ripercorrere gli obiettivi, che portarono alla nascita dell’UPM, per capire come essi siano stati progressivamente abbandonati: la promozione della cooperazione tra le due sponde del mare interno; la risoluzione delle problematiche legate all’immigrazione dai paesi meridionali verso quelli settentrionali; la lotta al terrorismo; il conflitto arabo-israeliano; la tutela del patrimonio ecologico mediterraneo. Dopo quattro anni dall’istituzione, bisogna riconoscere che l’UPM ha sostanzialmente fallito i suoi obiettivi e la sua missione. Anche il secondo tentativo europeo di organizzare una governance mediterranea, dopo l’agonia del PEM, durata otto anni, ha impiegato meno tempo per arrivare allo stesso risultato negativo. La rivoluzione, annunziata da Sarkozy, in nome della Francia, non è riuscita: il passaggio, da un processo sotto tutela UE ad uno intergovernativo, si è rivelato una grande illusione. Ed oggi, i partner della sponda Sud sono più lontani di quelli della sponda Nord di quanto non lo fossero nel 1995, alla vigilia della nascita del PEM. Solo una UE più forte, decisa, credibile e rispettata, con una politica estera coerente, capace di esprimere una volontà di utilizzare le risorse per attuare una concreta politica mediterranea, riuscirà a recuperare il tempo perduto. Tutto deriva dalla volontà di esprimere una forte politica estera e perseguirla coerentemente. Serve un’Europa forte, capace di esercitare una egemonia giusta, in grado di dare alla regione mediterranea un adeguato assetto, normativo e cooperativo. Sul piano geopolitico e geostrategico, questa politica estera non potrà essere “solo” mediterranea, ma dovrà avere un respiro sovra-regionale e globale, di più ampie vedute e più strategicamente mirata, avendo presente non solo la regione mediterranea, ma anche il Medio Oriente e il Grande Medio Oriente. Cooperazione economica e politica estera, forte e giusta, con una visione strategica, restano le due priorità dell’UE per garantire la stabilità, geopolitica e geostrategica, del “Mediterraneo allargato”.

 

 

 

Il ruolo del Mediterraneo nella geopolitica e nella geostrategia

 

Parte VIII

 

L’Unione Europea e la politica mediterranea

 

 

La politica mediterranea dell’UE si è sviluppata principalmente attraverso il PEM (Partenariato Euro-Mediterraneo), conosciuto anche come “processo di Barcellona”, e la PEV (Politica Europea di Vicinato), che ha incluso sia i paesi sud-mediterranei, facenti parte del PEM, che quelli dell’Europa Orientale, rimasti fuori dall’UE. Tra il 1995 e il 2004, dopo l’allargamento dell’UE, la politica mediterranea dell’Europa ha assunto un carattere bicefalo: da una parte, il PEM, a carattere multilaterale, finalizzato alle politiche di sicurezza e alle relazioni socio-culturali (I e II pilastro), di cui si sono occupati i governi nazionali; dall’altro, la PEV, a carattere bilaterale, finalizzata a trattare principalmente le relazioni economiche, cioè le materie comprese nel secondo pilastro della “Dichiarazione di Barcellona”, delle quali si è occupata prevalentemente la Commissione Europea. Va anche sottolineato che la composizione del PEM è mutata nel tempo, a causa dell’entrata di alcuni membri originari, come membri dell’UE, mentre ne sono entrati a far parte tutti i nuovi membri UE dell’Europa Centro-Orientale. Tra i membri non UE, risalta la Turchia, che, nel prossimo futuro, potrebbe diventare membro dell’UE. Il PEM è diventato come una porta girevole, con la costante di una partecipazione di membri UE sempre più numerosa di quella di membri non-UE. I risultati del PEM, a causa di questo squilibrio permanente, dovuto ai mutamenti strategici dell’Europa e delle aree limitrofe, sono giudicabili non del tutto soddisfacenti e molto limitati. Allo stesso modo, la PEV, gestita prevalentemente dalla Commissione Europea, non ha conseguito risultati significativi, a causa di visioni contrastanti sulla politica mediterranea, presenti anche all’interno della Commissione. Con la fine della guerra fredda e l’avvento del PEM, nonostante la dissoluzione delle vecchie solidarietà intra-mediterranee, a carattere terzomondista e antimperialista, nonché alternative a quelle europee, l’avvicinamento di molti paesi mediterranei alle iniziative di cooperazione con l’UE, in un’ottica euro-mediterranea, non ha realizzato una vera complementarità delle iniziative euro-mediterranee del PEM e della PEV. L’unico dato positivo risulta, ad oggi, una diffusa affermazione della tendenza euro-mediterranea, con il carattere complementare assunto dalle tendenze intra-mediterranee, che non hanno più il carattere della alternatività. Si può affermare che queste tendenze siano il frutto della politica euro-mediterranea, che si è consolidata. Questo obiettivo raggiunto non ha risolto le condizioni di squilibrio, a causa della permanente frammentazione introdotta con la PEV e la disaffezione, prodotta nel PEM, a causa di crescenti contrasti relativi alle questioni della sicurezza, come l’immigrazione e la lotta al terrorismo. Se nel PEM permane lo squilibrio tra la presenza massiccia dei membri UE, rispetto alla limitata presenza dei membri del Nord Africa, ne deriva la conseguenza di marginalizzazione di questi ultimi, facendo venir meno la stessa missione del PEM. D’altro canto, anche la PEV ha visto diminuire l’attenzione dell’UE verso il Mediterraneo, essendosi spostata più verso l’Est Europa e il Caucaso. L’inserimento, nel PEM, dei Paesi balcanici, ha trasferito le tensioni dell’aera balcanica nel PEM, marginalizzando la presenza dei paesi mediterranei, per i quali il PEM è stato istituito. Questa marginalizzazione sta pesando sull’equilibrio politico interno della stessa UE, determinando uno spostamento degli interessi europei a favore dell’Est Europa, rispetto all’area euro-mediterranea. L’Unione Europea, per il mantenimento della sua stessa coesione comunitaria, dovrebbe affermare il comune interesse a sviluppare forme di cooperazione e di solidarietà con i Paesi della sponda Sud e Sud-Orientale del Mediterraneo. L’insoddisfazione per il malfunzionamento del PEM e della PEV è stata alla base della proposta di Unione per il Mediterraneo dell’allora presidente francese Nicolas Sarkozy (UPM). La Francia ha manifestato sempre un atteggiamento critico verso le politiche mediterranee dell’UE, denunciando, anche sotto il profilo politico e diplomatico, la stessa sostanza del PEM e della PEV. Questa posizione critica ha avuto riflessi sulla coesione comunitaria e sull’equilibrio politico interno dell’UE. In questo quadro lacerato, è nata la proposta dell’UPM (2008), finalizzata ad istituire una solidarietà intra-mediterranea, al di fuori del contesto europeo. Ma non tutti i membri dell’UE, come vedremo di seguito, avevano interesse a disancorare l’iniziativa francese dal contesto europeo.

 

 

 

 

Il ruolo del Mediterraneo nella geopolitica e nella geostrategia

 

Parte VII

 

Il Mediterraneo e la geopolitica etnico-religiosa

 

Anche la geopolitica etnico-religiosa contribuisce alla instabilità dell’area mediterranea, determinando occasioni di conflitto interno e interstatuale. Le differenze culturali e religiose sono più profonde e radicate nella natura umana di quanto lo siano quelle politiche ed economiche. L’identità religiosa è più forte di quella etnica: un individuo può essere per metà italiano e per metà arabo, ma non può essere per metà cattolico e per metà musulmano. Cinque, inoltre, sono le differenziazioni storiche: cristiano-cattolica (Mediterraneo nord-occidentale); cristiano-ortodossa (Balcani e Eurasia russa); islamica (Nord Africa, Grande Medio Oriente, Corno d’Africa, parte dei Balcani, Caucaso, Asia Centrale); giudaica (Israele e comunità minoritarie in altri paesi); cristiano-copta (Etiopia e parte del Sudan e dell’Egitto). I conflitti, che ne sono derivati, non si contano: arabo-israeliano; israelo-palestinese; curdo; greco-turco; turco-armeno e quello interno al Sudan tra governo islamico e cristiani animisti. Da queste premesse, pur trattate sinteticamente, ne discende che il “Mediterraneo allargato” si presenta, per la geopolitica e la geostrategia, come il luogo geometrico di numerosi contrasti e di potenziali conflitti.

 

 

 

Quando il pesco sarà fiorito

 

 

T’incontrerò
quando il pesco sarà fiorito,
portandoti per mano
su prati di margherite,
al suono dolcissimo del flauto
che ascoltavi quando eri bambina.
T’incontrerò
quando il pesco sarà fiorito,
trovandoti donna
e io uomo,
ad aspettare che un bocciolo di vita
si schiuda
al calore del sole
che ti è sorto negli occhi.

 

 

 

 

Il ruolo del Mediterraneo nella geopolitica e nella geostrategia

 

Parte VI

     

Il Mediterraneo e la geopolitica dell’alimentazione e delle risorse idriche

 

 

Fattori strutturali e fattori congiunturali hanno determinato un’impennata dei prezzi agricoli, con una contrazione dell’offerta ed una crescita della domanda globale. Il rallentamento del tasso di crescita della produzione agricola (diminuzione delle rese, bassi livelli di profitto, mancate riforme delle politiche agrarie, crescita della produzione dei biocarburanti etc.), a livello mondiale, con conseguente aumenti dei prezzi, ha determinato l’attuale crisi alimentare mondiale, che ha manifestato i suoi effetti perversi specie sul “Mediterraneo allargato”, investito negativamente da decenni di cambiamenti climatici, con cali delle precipitazioni e processi di desertificazione, con particolare riferimento ai versanti, africano ed asiatico. La diminuzione delle precipitazioni, incidendo sullo stato delle risorse naturali e sulle attività umane che da esse dipendono, ha determinato anche un calo delle risorse idriche rinnovabili pro-capite in tutti i paesi del “Mediterraneo allargato”, fatta eccezione per l’Albania. Questa riduzione della disponibilità idrica ha colpito al cuore l’agricoltura dei paesi arabi, che assorbe il 70% di tutte le risorse idriche disponibili, e si accompagna all’incapacità di rendere più efficienti i sistemi irrigui. L’acqua, quindi, rappresenta l’elemento che incide direttamente sull’insicurezza alimentare. L’intreccio tra demografia e scarsità delle risorse idriche rende l’insicurezza alimentare un altro fattore di destabilizzazione del sud del “Mediterraneo allargato”, a causa dello squilibrio, nei bilanci alimentari dei paesi nord-africani e medio-orientali, tra esportazioni e importazioni, con un deficit consistente per i cereali e gli alimenti di origine animale. La forte dipendenza alimentare dall’Europa e dal Nord America, se, da un lato, rende più agevole il perseguimento della sicurezza energetica dell’Occidente; dall’altro, nel medio lungo termine, si tradurrà, con la crescita demografica e l’inurbazione caotica, in un ulteriore fattore di instabilità della geopolitica del “Mediterraneo allargato”, con ricadute negative anche sul commercio internazionale. Alla luce del rapporto tra scarsità di risorse idriche e insicurezza alimentare, si può affermare che l’acqua diventerà uno dei maggiori fattori di instabilità del “Mediterraneo allargato”, investendo i paesi nord-africani e mediorientali, ma, di contro, anche quelli nord-occidentali e balcanici. Lo squilibrio tra la disponibilità di risorse idriche tra i primi ed i secondi è stridente: su 12 paesi del Sud e dell’Est del Mediterraneo, 8 paesi utilizzano già il 50% delle loro risorse idriche rinnovabili e due (Autorità Palestinese e Libia) più del 100%. Nel 2025, diventeranno 10 al 50% ed 8 consumeranno più del 100%. In questa situazione, alcuni paesi hanno fatto ricorso anche allo sfruttamento di falde fossili non rinnovabili. Il 72% delle risorse idriche del “Mediterraneo allargato” sono nella disponibilità dei paesi del nord, il 23% dei paesi dell’est e il 5% dei paesi del Sud. Siria, Israele, Palestina ed Egitto sono già in forte dipendenza idrica dai paesi che si trovano a monte dei bacini idrici di pertinenza. Si tratta di una situazione insostenibile, che alimenterà tensioni, contrasti e conflitti internazionali, anche perché alcuni bacini idrici sono condivisi. I casi più clamorosi risultano: l’accesso e lo sfruttamento delle risorse idriche del bacino del Giordano, che contrappone Israele all’Autorità Nazionale Palestinese, alla Giordania e alla Siria; il Grande Progetto Anatolico, per la costruzione di 32 dighe sul Tigri e sull’Eufrate, che contrappone la Turchia alla Siria e all’Iraq; le rivendicazioni sullo sfruttamento prioritario delle acque del Nilo azzurro, che contrappone l’Etiopia al Sudan e all’Egitto.

 

 

 

Uocchie

 

 

Stanotte t’aggio sunnata.
Aggio sunnato ‘a faccia toia
janca comme ‘o latte,
‘e capille luonghi e lisci,
e l’uocchie chini ‘e cose belle.
 
Aggio ‘ntiso ‘o ciato tuoio doce,
t’aggio vista abballà,
comme a ‘n angelo senza scelle.
Tu stive ccà
e me chiudive l’uocchie.
 
Io vulesse rimane’ cecato
pe te vasa’ tutte ‘e ‘nnotte
e po’ ancora, ancora.
 
Fino a quanno ‘stu scuro allummarra’
l’uocchie miei pe’ ‘e tuoie,
io te vulesse tenere pe’ sempe vicino.

 

 

 

 

 

Il ruolo del Mediterraneo nella geopolitica e nella geostrategia

 

Parte V

Il Mediterraneo e la geopolitica dell’immigrazione

 

La geopolitica dell’immigrazione, collegata direttamente alle dinamiche demografiche, rappresenta, nel “Mediterraneo allargato”, un altro elemento, non secondario, di instabilità. Studi recenti delle Nazioni Unite hanno messo a raffronto le dinamiche demografiche dei paesi mediterranei della sponda nord (Portogallo, Spagna, Francia, Italia e Grecia) con quelle dei paesi mediterranei della sponda sud (Marocco, Algeria, Tunisia, Egitto, oltre a Libano, Israele, Giordania e Turchia). Risulta evidente che la popolazione dei primi è in netta caduta, mentre quella dei secondi cresce nel tempo. Il divario raggiungerà, secondo le proiezioni, il 65% entro il 2017, capovolgendo i dati del 1975. Considerando il differenziale economico tra i paesi di origine e i paesi di destinazione, che si affacciano sul bacino mediterraneo, il flusso emigratorio sarà sempre più elevato e non subirà, a breve, alcun rallentamento, anche per la quasi assenza, nonostante le proposte italiane, di una politica unitaria europea dell’immigrazione. La spinta ad emigrare nasce dall’aspirazione a migliorare le proprie condizioni di vita, quando non si tratta di fuga dalla fame, dalla povertà e, non di rado, da guerre e da persecuzioni etnico – religiose. Un aspetto di complicazione riguarda la provenienza da paesi musulmani della maggior parte degli immigrati. Quanto premesso, lascia prevedere che il “Mediterraneo allargato”, nei prossimi decenni, sarà interessato da grandi trasformazioni degli assetti politici, economici, demografici e culturali, con una prevalenza della sponda Sud, caratterizzato da una vera esplosione demografica e delle classi giovanili, su quella Nord, dominante per secoli, caratterizzata da un invecchiamento progressivo della popolazione, a causa del basso numero delle nascite e dall’allungamento della durata media della vita. Sul piano geostrategico, gli effetti sono prevedibili: sulla sponda Nord, trasformazione progressiva della composizione etnica delle popolazioni degli Stati europei ed annacquamento delle vecchie identità nazionali; continue tensioni, a carattere socio-culturale e etnico – religioso, nelle realtà urbane europee e nelle periferie delle stesse e fenomeni di destabilizzazione politica; sulla sponda Sud, fenomeni di destabilizzazione politica, disoccupazione giovanile, urbanizzazione, contestazioni, carenza alimentare e scarsità di risorse idriche.