Nel futuro del verbo fare

 

 

Nel futuro del verbo fare
ci siamo io e te
a piedi scalzi,
sforbiciati da uno strappo di sole,
due rami di leccio
intrecciati alla neve,
la coniugazione breve
fra le messi del grano,
la dismisura del giusto
in un pugno lieve
o una stretta di mano.

Dal giorno che gratta 
alle profondità dell’erba,
a queste unghie rapaci,
siamo io e te
polpacci e caviglie, 
due franche radici. 
Non il capello che arruffa,
né i buoni auspici,
ma una breccia puntuta,
questa ghiaia cruda,
la vigna, la cantina, 
la radura brada.

A volte
per una fervida
mutevolezza di gronde
formeremo
parentesi tonde,
poi quadre poi graffe,
frazioni da complicare,
nel futuro del verbo fare
dove c’è un tal nostro modo
di stare
un po’ come due transenne
al singolare,
fra un prima ed un dopo,
inesperte teorie
da sbandierare
in cerca del punto
per poi andare a capo.

Nel futuro del verbo fare
c’è un incontro di ascisse
a tracciare il diagramma fedele
di certe piccole inezie,
minuzie, discordie represse,
il mio scattare
mentre tu annoti
attenta le scosse
pronunciate
come queste solenni promesse,
la mia forza 
che si fa conca
attraverso le tue mani 
che addosso mi stanno
e si fanno convesse.

Dopo la rada,
la cala opposta alla foce,
se nel futuro del verbo fare
c’è un campo contiguo
o l’occhio bruciato del mare,
sarà doppia la voce,
il rispetto del dare
con cui spezzeremo
il silenzio tenace,
che è giovane ora
ma tra le labbra loquace,
e fiorisce, e perdura,
e di noi due dice,
e di noi due tace.

(Patrick Gentile)

 

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