Viviamo in un’epoca in cui troppo spesso le idee politiche diventano etichette e le etichette diventano gabbie. Chi non pensa come noi viene subito visto come avversario, a volte persino come nemico. Ma, come ricordava Voltaire (o, meglio, la frase che ne riassume il pensiero), “Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto di dirlo”.
La filosofia, da Socrate in poi, ci insegna che il dialogo autentico nasce dal confronto tra visioni diverse. Socrate interrogava, provocava, smontava certezze, non per umiliare l’altro ma per avvicinarsi insieme a un’idea più limpida di verità. La maieutica – l’arte di “far nascere” le idee – muore se riduciamo il dibattito a un’arena di insulti e slogan.
John Stuart Mill, nel suo Sulla libertà, sosteneva che anche l’opinione più impopolare ha un valore: ci obbliga a mettere alla prova le nostre convinzioni, a non trasformarle in dogmi. Se un’idea resiste al confronto, ne uscirà più solida; se non resiste, meritava di essere corretta.
E qui entra in gioco anche Spinoza. Per lui, la libertà di pensiero non era solo un diritto civile, quanto una condizione necessaria per la pace e la prosperità di uno Stato. Nel Tractatus Theologico-Politicus scriveva: “In una libera repubblica è lecito a ciascuno pensare ciò che vuole e dire ciò che pensa”. Non per ingenuità ma per realismo politico: vietare le opinioni genera ipocrisia, risentimento e ribellione; permetterle apre invece la via alla stabilità.
Oggi, questo insegnamento è più urgente che mai. Vediamo leader politici incapaci di sedersi allo stesso tavolo, parlamenti trasformati in teatri di risse verbali, campagne elettorali ridotte a campagne di discredito. Nei talk show, le voci opposte non si ascoltano: si sovrastano. Nei social, l’algoritmo ci chiude in bolle ideologiche dove leggiamo solo ciò che conferma ciò che già pensiamo. Così la polarizzazione diventa la norma e il dissenso viene percepito come un’offesa personale.

Prendiamo alcuni esempi concreti. Sul cambiamento climatico, il confronto spesso degenera in un muro contro muro fra chi propone transizioni radicali e chi teme per l’impatto economico immediato, senza spazi di mediazione costruttiva. Sui temi migratori, il dibattito è quasi sempre viziato da slogan estremi: “porti aperti” o “porti chiusi”, ignorando la complessità di soluzioni possibili. Persino su questioni sanitarie, come si è visto con la pandemia, il rispetto reciproco è stato spesso sostituito dal sospetto reciproco, con accuse di “negazionismo” da un lato e di “dittatura sanitaria” dall’altro.
Questi esempi mostrano che non basta proclamare la libertà di espressione: serve coltivare la cultura dell’ascolto e del rispetto. Perché, come ricordava Kant, dobbiamo trattare ogni persona sempre come fine e mai come mezzo. Ridurre l’altro a un avversario da screditare è disumano prima ancora che antidemocratico.
La democrazia non è il regno dell’unanimità, è il governo della pluralità. Il suo fondamento non è la vittoria di una voce sulle altre ma la convivenza di molte voci, anche in disaccordo radicale. Tocqueville lo aveva capito: senza rispetto reciproco, la libertà si sgretola e la maggioranza diventa tirannia.
Per questo il rispetto delle idee politiche altrui è una responsabilità quotidiana. Non basta tollerare: bisogna ascoltare. Non basta ascoltare: bisogna comprendere. E anche quando non comprendiamo, dobbiamo difendere il diritto dell’altro a pensare diversamente. Perché, come avvertiva Hannah Arendt, il vero pericolo non è l’opinione sbagliata ma il silenzio imposto.
Se oggi chiudiamo le orecchie davanti a un’idea che ci disturba, domani rischiamo di vivere in un mondo dove nessuno ascolta più nessuno. E allora il dibattito non sarà morto: sarà morto il pensiero stesso e la libertà.

La società aperta e i suoi nemici, pubblicata da Karl Popper in due volumi, tra il 1943 e il 1945, presenta una critica radicale al totalitarismo e difende con passione il valore delle società democratiche e liberali. La sua analisi si estende attraverso la filosofia, la storia e la politica, rendendola una pietra miliare nel pensiero del XX secolo.
La parte conclusiva dell’opera è dedicata alla difesa della società aperta, che Popper identifica con la democrazia liberale, interpretata non solo come un sistema politico, ma come ethos culturale che valorizza la libertà individuale, il pluralismo e il cambiamento progressivo attraverso metodi pacifici e razionali. La democrazia liberale è innanzitutto un processo. Non è statica né definita da una particolare configurazione istituzionale, ma è un sistema dinamico che consente il cambiamento e l’adattamento. Il filosofo critica le visioni utopiche che vedono la politica come ricerca di un ordine ideale e immutabile. Al contrario, asserisce che la società aperta sia caratterizzata da “una disposizione a imparare dall’errore”, qualità che permette alle società democratiche liberali di correggersi e migliorarsi continuamente. Eleva il concetto di tolleranza a principio fondamentale della società aperta, pur avvertendo contro il “paradosso della tolleranza”: infatti, la tolleranza illimitata può portare alla distruzione della tolleranza stessa, se si permette ai tolleranti di sfruttare la libertà offerta per sopprimere i diritti altrui. In una società aperta, la tolleranza richiede un equilibrio attivo, a cui i limiti sono posti per prevenire l’ascesa di forze intolleranti e autoritarie. Un aspetto risolutivo della democrazia liberale è costituito dall’importanza del disaccordo e del dibattito aperto. Popper sostiene che il progresso scientifico e sociale si verifichi per mezzo di un costante processo di congettura e confutazione, dove le teorie sono proposte, testate e spesso confutate. Analogamente, la democrazia deve operare attraverso un dialogo aperto e critico, in cui le politiche sono proposte, discusse e modificate in risposta ai giudizi e ai cambiamenti delle circostanze. Infine, pone una forte enfasi sui diritti individuali quale fondamento della democrazia liberale. La loro protezione non è solo una questione di giustizia legale o morale ma è essenziale per la creazione di un ambiente in cui gli individui possono pensare, esprimersi e agire senza paura di repressione, considerando ciò essenziale per il mantenimento di una società aperta e per il progresso continuo verso una migliore condizione umana.






