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Rage Against The Machine

 

Figli della Los Angeles ribelle degli anni ‘90, i Rage Against The Machine, spesso abbreviati in R.A.T.M., sono famosi per aver mescolato il sound duro dell’heavy metal al funk e all’hip hop. La band è stata fondata nel 1991 dal chitarrista Tom Morello e dal cantante Zack de la Rocha. OLYMPUS DIGITAL CAMERANel corso degli anni, si sono distinti per le violente invettive politiche a ritmo di rap nelle loro canzoni. Appartenenti alla sinistra, da sempre si sono battuti contro il capitalismo e l’imperialismo e a favore delle minoranze etniche. Siamo agli inizi degli anni ‘90, negli Stati Uniti, e non c’è cosa più sbagliata che pensare a Seattle e al grunge. I R.A.T.M. vivono a Los Angeles, città distante milioni di anni luce dalle sonorità di Nirvana e soci. La band della città degli angeli ha tutt’altro sound e, più o meno come i Clash, unisce l’impegno sociale al divertimento della musica. La band ha sfornato in tutto quattro album e in coda ai crediti di ognuno dei quattro lavori in studio c’è scritto: “No samples, keyboards or synthesizers used in the making of this recording.” La cosa può apparire puritana e, magari, poco credibile, fin quando non si assiste a un loro live, fatto di una musica essenziale e minimalista, alla quale si aggiunge il rap furioso e rabbioso del cantante Zack de la Rocha, che non esita mai ad usare un linguaggio tanto crudo quanto aggressivo nei confronti del capitalismo. Dopo quattro lavori in studio, nel novembre del 2000, in seguito all’elezione di George W. Bush, il leader e cantante della band annuncia la fine dell’esperienza musicale R.A.T.M. 120814_ratm_albuma causa del totale fallimento degli obiettivi politici fissati il giorno della loro nascita. Il primo omonimo album del 1992 (foto copertina a destra), per l’etichetta Epic Records, è probabilmente il loro lavoro meglio riuscito. All’epoca fu un vero e proprio fulmine a ciel sereno nel panorama rock mondiale. Il disco contiene alcune canzoni passate alla storia, come “Bullet in the head(ascolta) e la famosissima “Killing in the name(ascolta), divenuta l’inno rivoluzionario per eccellenza dei R.A.T.M. L’uscita del disco fu seguita da non poche polemiche. La band fu bollata come sovversiva e pericolosa, antiamericana e comunista. Il “Saturday night live”, celebre programma televisivo americano che ospitava le principali rock band, censurò una loro performance perché Zack e soci avevano disposto sul palco una bandiera americana al contrario. Non mancarono, poi, concerti in cui i ragazzi salutavano la platea a pugni chiusi ed esibivano sul palco enormi disegni di Che Guevara. Addirittura, nel gennaio 2000, alle 15.00 circa, la Borsa di Wall Street fu costretta a chiudere i battenti. La colpa non fu di attentati, crisi economiche o scioperi selvaggi, ma di un cataclisma con un nome preciso: Rage Against the Machine. Giunta all’apice del successo, la band voleva ad ogni costo suonare il proprio “rock anticapitalista” di fronte al tempio della finanza mondiale, soprattutto dopo che le autorità municipali avevano proibito l’esibizione. Il blitz fu un successo. La folla, radunatasi a guardare il concerto improvvisato attorno alla statua di George Washington, fu tale che, prima di essere dispersa dalla polizia, costrinse Wall Street ad abbassare le saracinesche. Dalla performance, il regista Michel Gondry, coadiuvato da Michael Moore (che al termine delle riprese fu anche arrestato), ricavò il video per il singolo Sleep now in the fire (guarda), estratto da “The battle of Los Angeles” (1999), terzo album dei Rage. L’album “Rage Against The Machine”, può essere tranquillamente annoverato tra le pietre miliari della musica rock. Rage-Against-The-Machine-wallpaper-1Come già accennato, il capolavoro è “Killing in the name”, una canzone cadenzata e a tratti tenebrosa, un inno alla disobbedienza civile e alla diserzione militare. L’album è diventato ben presto una sorta di monumento della contaminazione tra metal, funk e hip hop. Con questa fusione la band ha creato un sound esplosivo e violento, originalissimo e del tutto genuino. La forza d’urto della musica di questo disco è impressionante. Una sezione ritmica perfetta e quanto mai appropriata. La batteria suona semplice, ma bada al sodo ed è pesante il giusto. Il basso, invece, è metallico e possente, e va a delineare uno stupendo sottofondo di note su cui si appoggia la chitarra metal di Morello. E, infine, c’è il cantante, che con la sua voce isterica e sdegnata, inveisce a ritmo di rap contro il capitalismo e i potenti del mondo. E’ un disco che andrebbe ascoltato e riascoltato per capirne a pieno la forza e la grandezza, indipendentemente dalle proprie idee politiche. E’ un disco che ha stile, carattere, personalità. Potente come una cannonata, ribelle come pochi.

Pier Luigi Tizzano

 

 

 

Primus

 

Una delle più eccentriche band degli anni ‘90. Capitanati dal bassista Les Claypool, hanno avuto la genialità di creare un sound personalissimo e originale, partendo dagli strumenti essenziali del rock: la chitarra, il basso e la batteria. Questa è stata la loro più grande forza, perché nei ‘90, a parte l’essenzialismo strumentale del grunge, le grandi innovazioni del rock sono avvenute attraverso contaminazioni con altri generi, in primis hip hop ed elettronica. Nei suoi Primus, Les Claypool, chiaramente influenzato  dal progressive rock dalla psichedelia degli anni ‘70, propone un rock molto vivace e divertente, a tratti demenziale, a tratti malato e paranoico. Ascoltandoli, l’attenzione dell’orecchio si posa subito sul suo basso, quasi ipnotico, che stupisce nota dopo nota. Ma, nonostante questo strumento la faccia da padrone, la chitarra di Larry LaLonde e la batteria di Tim Alexander sono certo sue comprimarie. Assolutamente da non sottovalutare, infatti, esse sono parti essenziali della band che forse più di tutte, negli anni ‘90, ha fatto di testa propria, non curandosi affatto della moda, di quanto chiedevano i discografici e imponendosi sulla scena musicale come una delle formazioni più esclusive e aggressive, quasi un’istituzione del decennio in cui, secondo alcuni, sarebbe morto il rock. La band ha pubblicato undici album, quasi tutti capolavori.  Tra questi, Tales from the punchbowl, Interscope Records, 1995  (foto a sinistra). Nulla di certo, ma pare che il titolo dell’album sia un omaggio ad una serie di leggendarie feste, tenutesi nei dormitori dell’Università di Berkeley, durante le quali veniva servito del punch corretto all’Lsd. Ecco cosa si respira ascoltando le storie della tazza del punch. Di sicuro storie strane, i cui protagonisti sono folletti e altri esseri mitologici. E di sicuro i Primus, presenti a quei party, ne hanno ascoltate diverse, tanto da esserne ispirati per quest’album, uno dei migliori, se non il migliore della loro carriera. Diciamolo francamente: il disco è un trip meraviglioso! images99G0N5TBComincia in bellezza, con una opener che è quasi una jam session, lunga, potente e aggressiva, per sfociare in svariati pezzi dalle mille influenze, in primis psichedeliche, ma anche progressive, hard rock, dark. Tra questi, spiccano per genio, Southbound Pachyderm (ascolta), paranoica e distorta, introdotta da un ipnotico giro di basso, che accompagna tutto il pezzo, e Wynona’s Big Brown Beaver (ascolta), uno dei successi storici della band, nel cui video i componenti sono vestiti da cowboy. Da segnalare anche Over The Electric Grapevine (ascolta), che, non a caso, parla di un viaggio in macchina sotto effetto dell’Lsd. Malata, paranoica e ossessiva. I tre aggettivi che meglio definiscono la musica di questo meraviglioso lavoro in studio. Un disco da ascoltare tutto d’un fiato. Un disco che incanta e stupisce, che a tratti inquieta, a tratti mette i brividi, ma mai è banale, mai scontato. Un capolavoro degli anni ‘90.

Pier Luigi Tizzano