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Indian Jewelry

 

Strana e bizzarra saga quella degli Indian Jewelry. Ma anche misteriosa e inafferrabile perché, in realtà, nessuno sa con precisione quanti siano i musicisti di questa band di culto della psichedelia underground. Si sa solo che sono un collettivo ad espansione continua e provengono dal Texas. Si sa che viaggiano on the road, come gloriosi hippie del passato, reclutando musicisti in ogni dove, esibendosi in performance musicali che sono, di fatto, un vero e proprio show allucinogeno. A dirigere l’orchestra sono in quattro: ij-truck-2la polistrumentista e cantante Erika Thrasher, il factotum Tex Kerschen, il batterista Rodney Rodriguez e il chitarrista Brandon Davis. Sono loro i titolari di questo psychedelic dream in salsa hippie, dove ognuno può entrare e uscire liberamente, come ci si trovasse in una comune, contribuendo, così, a creare un sound sempre più ricco e particolare e a rendere i live sempre più imprevedibili e originali, veri e propri circhi della follia umana. Nel corso degli anni, la band si è cimentata in progetti folli e originali, arruolando, di volta in volta, i più strabilianti personaggi incontrati sulle strade dell’America selvaggia. E, nonostante l’entrata e l’uscita di tanti e diversi musicisti, con background spesso contrastanti, il sound di base di questo maestoso progetto ha sempre mantenuto un comune denominatore: una devastante psichedelia di fondo. Forse devastante è dir poco.indianJewelry-640x428 Bisogna mettere subito in chiaro le cose: con gli Indian Jewelry non si scherza affatto. La loro musica è quanto di più psichedelicamente malato sia mai stato concepito nella storia del rock. Ci troviamo di fronte a droni, loop, drum machine, riverberi, chitarre, tastiere e rumori assordanti, che formano allucinanti agglomerati di suoni, capaci di violentare letteralmente le orecchie dell’ascoltatore. Tuttavia, pur rinnegando il formato-canzone classico e seguendo una sorta di anarchia strumentale, in cui tutto sembra essere concesso, i nostri eroi mostrano una insospettabile abilità melodica e un barlume di lucidità nel riuscire ad abbozzare linee geometriche in questo ammasso di devastazione psichedelica. La loro storia inizia nel 2003 e, oggi, la band è ancora in attività.Indian_Jewelry_-_Free_Gold! Uno dei momenti più alti della carriera l’hanno toccato nel 2008, quando hanno dato in pasto al pubblico il loro terzo disco, “Free Gold!”, We Are Free (copertina a destra), un vero e proprio viaggio spazio-temporale come insegna la tradizione psichedelica, un disco visionario e violento, terribilmente allucinogeno, la dimostrazione che la psichedelia non è morta nei ‘70, la prova tangibile che ci sono ancora una miriade di terre inesplorate da questo genere di nicchia e mai compreso a pieno. L’apertura del disco è affidata a “Swans” (ascolta) e “Temporary famine ship” (ascolta), veri e propri manifesti propagandistici, relativi a questo modo di fare musica, dove loop (campioni musicali che si ripetono in continuazione) ruvidissimi fungono da base a una voce “in trance” e a chitarre distorte, che sembrano quasi farsi guerra tra un assolo acido e un altro a seguire ancora più acido e così via. “Seasonal economy” (ascolta), altro manifesto psichedelico, capace di sconvolgere i sensi dell’ascoltatore, di disorientare e confondere. Ma nel disco non mancano momenti di quiete, pezzi più “classici”. Parliamo di “Pompeii” (ascolta) e “Everyday” (ascolta), ballate acide ed eteree, in cui sembra di trovare sia i rumorismi dei Sonic Youth, sia la decadente malinconia dei Velvet Underground. Tra i momenti di follia più pura, “Walking on the water” (ascolta), una canzone lenta e a tratti sognante, una tenue psichedelia che sembra venire direttamente da un mondo sconosciuto e cullare indianjewelryl’ascoltatore in sogni felici e spensierati. A seguire, “Too Much HonkyTonking(ascolta) propone atmosfere meno sognanti, più angosciose e claustrofobiche, in cui i singoli strumenti si sovrappongono caoticamente, stordendo e spiazzando. Da menzionare sicuramente, anche l’esperimento di psichedelia tribale di “Hello Africa” (ascolta) e “Seventh Heavean” (ascolta), pezzo di chiusura del disco, che si sviluppa in strabilianti rintocchi di chitarra e synth, che disegnano uno scenario cosmico, degno del kraut rock tedesco degli anni ‘70. In conclusione, “Free Gold!” è una piccola ma preziosissima pietra della psichedelia underground, un album ultrasperimentale, violento e viscerale, visionario e allucinogeno. E’ un’odissea crudele e stralunata, una deriva di suoni violenti e perversi, capaci di far rizzare i capelli all’ascoltatore per le visioni cui lo conducono. “Free Gold!” è il figlio legittimo degli hippie anni ‘70 e gli Indian Jewelry sono la dimostrazione che i sogni rivoluzionari non sono morti del tutto. Sono l’ultimo baluardo di uno stile di vita ispirato da alti ideali e idee universali di giustizia e libertà. Quattro maledetti sognatori innamorati e testardi, tutt’ora attivi musicalmente. E chissà, a quest’ora, mentre leggete quest’articolo, dove saranno e quale bizzarro personaggio staranno ingaggiando per i loro live. Lunga vita agli hippie del nuovo millennio!

Pier Luigi Tizzano

 

 

Pixies

 

Band di rock alternativo statunitense, formatasi a Boston nel 1986, è considerata dalla critica tra le più importanti e influenti del rock alternativo. La loro è una musica piuttosto caotica e distorta, spesso fino all’inverosimile, fatta di melodie scanzonate e ritmi ossessivi. pixies_1_1351682644I Pixies hanno senza dubbio coniato un nuovo e innovativo linguaggio musicale, dal quale hanno attinto ispirazione tante band dei ‘90, tra cui addirittura i Nirvana di Kurt Cobain. La loro è una storia come tante. Nel 1986, il cantante Black Francis e il chitarrista Joey Santiago si conoscono a Porto Rico, dove entrambi studiano. I due decidono di lasciare l’università e di inseguire il loro sogno musicale. Si trasferiscono a Boston e, grazie a un annuncio su un giornale, la band è fatta. Si uniranno a loro la giovane e talentuosa bassista Kim Deal e il batterista David Lovering. I ragazzi iniziano pian piano a spopolare nei locali di Boston con la loro strana ma originale musica, definita noise pop (due terzi di rumore e un terzo di pop). Le loro sono canzoni acide e molto violente, ma nelle quali c’è sempre un nucleo melodico di fondo ben definito. Nel 1987, i Pixies esordiscono con un EP dal titolo Come on Pilgrim.MI0002009636 Il lavoro è ancora acerbo, ma il loro stile inizia a delinearsi chiaramente. Nel 1988, invece, c’è la svolta definitiva. La band pubblica il disco Surfer Rosa, Rough Trade (copertina a  sinistra), e immediatamente raggiunge il primo posto delle classifiche inglesi di rock indipendente. L’album viene accolto dalla critica musicale con grande entusiasmo. Si parla di ultimo grande capolavoro del post-punk e artisti di caratura  internazionale  come  David  Bowie  si affrettano ad esprimere il loro apprezzamento per il lavoro della band. Musicalmente, il disco ripropone il sound base del gruppo: un garage rock interpretato in maniera personalissima, in quanto stravolto da riff di chitarra distorta, ritmi spasmodici, urla isteriche ma unite sempre a una melodia di base, che addolcisce il tutto, creando un’atmosfera eterea e infernale a un tempo, confondendo e stordendo l’ascoltatore che si trova in balia di una musica stralunata e quanto mai originale. Il disco parte in quarta con Bone Machine (ascolta), una canzone ferocissima dominata da dissonanze ed effetti ossessivi. La foga e la tensione diventano, poi, sempre più esagitate e lo si sente in pezzi di chiara ispirazione punk come Something against you e Broken face (ascolta), canzoni nevrotiche e veloci. Poi la tensione si smorza e i quattro ragazzi di Boston virano verso un sound meno caotico e veloce, leggermente più melodico, ma dal forte impatto psicologico, come nella canzone River Euprhrates  e in Gigantic, la ballata firmata dalla bassista Kim Deal che veste i panni di songwirter. La musica di Gigantic (ascolta) è molto lineare ma dal forte impatto emotivo: su una semplice linea di basso, accompagnata dalla batteria, si innestano le chitarre, mentre la voce della bassista crea una delicatissima linea melodica. pixies2Ma il pezzo in assoluto più travolgente del disco è Where is my mind (ascolta): una melodia tremendamente acida, ossessiva e delirante, una sessione ritmica molto cadenzata, lenta ma inesorabile, e un testo surreale concorrono a creare la canzone perfetta, destinata a divenire uno degli inni per eccellenza dei Pixies  e a far parte della colonna sonora dell’immortale capolavoro del cinema Fight Club. Surfer Rosa è un disco sorprendentemente innovativo, dalle infinite influenze e in cui domina una tensione di fondo, quasi snervante. Un disco con cui i Pixies hanno coniato un nuovo modo di fare rock, destinato a divenire (un po’ come è successo per i Sonic Youth) una inesauribile miniera di ispirazione per tante band degli anni ‘90. Un disco assolutamente da ascoltare per capire le successive evoluzioni della musica rock e gli anni Novanta.

 Pier Luigi Tizzano