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La bolla del Dragone

 

Anni ed anni di crescita forte e costante hanno conferito ai governi cinesi di un’aura di onnipotenza ma, mantenere tutto ciò, prima o poi, presenta il suo conto. Tre settimane dopo gli interventi per arginare il crollo dei mercati azionari, con misure senza precedenti, come il ban allo short selling, il divieto di vendita imposto agli azionisti di controllo ed un supporto creditizio diretto da parte della banca centrale cinese, i listini azionari sono precipitati nuovamente. usa-a-cinaChe in Cina ci sia un grossa bolla azionaria, onestamente, nessuno può negarlo. Tra i primi trenta titoli per performance (rendimenti oltre il 300% nell’ultimo anno), la metà presenta un rapporto prezzo/utili sopra le 50 volte. Rapporti impossibili da sostenere nell’attuale situazione economica cinese. Il quadro di profittabilità della sua industria, infatti, è in rapida decelerazione e non da poco tempo. Secondo uno studio UBS, la redditività straordinaria delle imprese cinesi si è contratta dello 0,8% nei primi 5 mesi del 2015. Il tasso è, ovviamente, ancora positivo, ma ben lontano dall’oltre il 40% annuo del 2011. Non c’è da stupirsi, anche il PIL che veleggiava a tassi del 12-13% fino al 2010 si è indebolito fino al ritmo del 7% annuo, con stime che fissano il livello tra il 6 e il 7% come il passo di marcia di un’economia, sicuramente forte, ma non più a tassi da emergente. E’ tutta qui l’incongruenza con l’azionario: non si può crescere del 150% nell’ultimo anno, come ha fatto il listino di Shangai, con un’economia contratta e con ricavi e profitti che rallentano. Sommando tutti questi fattori, ecco la ricetta per una bolla finanziaria perfetta. Adesso tutti gli occhi sono puntati su Beijing, dove il governo deve affrontare un difficile dilemma: affondare ancora di più nel tentativo di puntellare il mercato o lasciar cadere la sua maschera di invulnerabilità. Intanto, lunedì scorso sera, dopo il tonfo dei mercati (attenuato solo grazie alla regola che prevede l’automatica sospensione dalla negoziazione di quei titoli il cui prezzo aumenta o diminuisce più del 10%), 247706-files-china-forex-yuan-invest-business-asianessuna parola su cosa sia in pianificazione per il futuro è stata proferita dalle autorità cinesi. Zhu Ning, deputy dean allo Shanghai Advanced Institute of Finance, ha affermato: “Se il governo non farà nulla, allora tutti gli sforzi già fatti saranno stati inutili. Se, invece, continuerà ad impegnarsi nei salvataggi, il buco continuerà a farsi sempre più grande. Speriamo che il regolatore rispetterà il mercato e le sue leggi”. Il grosso problema è che in passato il governo ha già snobbato le leggi di mercato e, il conseguente incremento delle quotazioni, ha infuso negli investitori l’aspettativa di sempre maggiori interventi da parte delle autorità ogni volta che se ne presentasse la necessità. Ciò non bastasse, ci sarà, con molta probabilità, un altro grande prezzo da pagare al quale la Cina sta tentando di sottrarsi. Secondo alcune stime, più di 564 miliardi di dollari di debiti sono legati alla speculazioni sulle azioni. Altri pochi Lunedì neri come quello scorso e i danni ai bilanci delle famiglie si riverseranno inesorabilmente sull’economia reale. Ma il danno più grave sarebbe, comunque, psicologico. Avendo per così tanto tempo dato l’impressione di esser capaci di far virare l’economia esattamente nella direzione voluta, la leadership cinese potrebbe essere costretta a concedere un chiaro limite al suo potere e questo potrebbe sferrare un duro colpo alla fiducia nell’economia asiatica, in un’epoca dove sta già rallentando la sua corsa. borsa-cinese-speculazione-e1436432157312Tuttavia, è una concessione necessaria. Non c’è modo di sapere quanto le autorità dovrebbero acquistare per stabilizzare i corsi azionari. La confidenza degli investitori, interamente basata sul supporto statale, potrebbe svanire non appena lo Stato smettesse di comprare. Senza considerare che le restrizioni agli scambi sono già servite ad annoiare gli investitori internazionali e a minare gli sforzi per elevare il renminbi a valuta di riserva internazionale. Cedere il controllo alle forze di mercato, non solo si scontra con l’ideologia comunista, ma va anche contro il paternalismo che ancora risuona nella vita politica cinese. Volendo usare le parole di un investitore primario, il mercato finanziario “ha bisogno di settimane di terrore” per diventare più sicuro e, qualora il crollo delle quotazioni dovesse intaccare la fiducia dei consumatori cinesi, la Cina possiede altre leve, al di là dell’acquisto di azioni, per spingere la domanda interna. Se mai il governo cinese sarà così saggio da ricordare che la crescita dell’economia reale nel paese del Dragone riposa su spinte strutturali ben più forti delle punzecchiature di un mercato azionario immaturo, è meglio che gli investitori si preparino ad altre settimane inquietanti.

Giuseppe De Simone

 

Il paradosso Quantitative easing e l’isteria dei mercati

 

Boom! Head shot! Passatemi il linguaggio da gamer incallito ma, supermario draghiè proprio il caso di dirlo, il bazooka di Mario Draghi (foto a destra) ha colpito l’obiettivo. Il 22 gennaio scorso, la BCE ha annunciato il primo piano di Qe (Quantitive easing) nella storia dell’Eurozona: un’operazione da 1000 miliardi di euro. Tra le regole del programma è stato previsto che l’Istituto di Francoforte comprasse sul mercato secondario, e solamente lì, i titoli di Stato dei 19 Paesi dell’Eurozona con la sola esclusione della Grecia. Non tutti i titoli, però, sono interessati dagli acquisti. Infatti, è possibile rastrellare solo quelli con scadenze comprese fra i 2 anni e i 30 anni, a condizione, poi, che i tassi di interesse di mercato non siano inferiori ai tassi di deposito stabiliti dalla BCE stessa (attualmente fissati a -0,2%). Alla data del 22 gennaio, il rendimento dei BTP a 10 anni era all’1,56%, già più basso di 50 bp (basis point) rispetto a dicembre, quando si cominciava a parlare di Qe. Il rendimento ha, poi, continuato a scendere fino all’1,12% dell’11 marzo, ovvero solo due giorni dopo l’inizio degli acquisti di titoli di Stato al ritmo di 45 miliardi al mese. Dopodiché, i tassi di interesse hanno intrapreso la strada opposta, ricominciando a salire, con tempi e modi diversi, in tutt’Europa. Si è quindi realizzato un “paradosso”: il piano agisce in linea diretta sui titoli di Stato ma, a conti fatti, non è al momento riuscito ad abbassare i rendimenti dei bond governativi e, in special modo, quelli dell’area “periferica”. Il Qe ha, invece, smosso i canali finanziari indiretti, le Borse (in forte rialzo da inizio anno) e l’Euro (svalutatosi nei confronti del Dollaro). Come mai, allora, i rendimenti sono tornati ai livelli pre-Qe? La risposta risiede in una sorta di moral hazard, perché i governi hanno notevolmente incrementato le emissioni. «L’offerta di obbligazioni sui mercati europei è stata certamente un fattore chiave nel determinare il recente calo dei prezzi (e il rialzo dei rendimenti, ndr). Nel tentativo di sfruttare i bassi tassi di interesse, i governi hanno inondato il mercato di titoli, esercitando pressioni sui tassi e provocandone il rialzo – ha spiegato Raman Srivastava, gestore del fondo BNY Mellon Euroland Bond Fund -. Tuttavia, ci stiamo avvicinando all’estate e nel mese di luglio l’offerta netta sui mercati obbligazionari è tradizionalmente negativa. qetassitalia-700Ci aspettiamo, quindi, che la sovrabbondanza di titoli si faccia più contenuta. La Banca Centrale Europea ha già lasciato intuire che modificherà il suo programma alla luce di questa previsione, incrementando gli acquisti di titoli a giugno e rinviando quelli previsti per luglio ai mesi di agosto e settembre. Pertanto, anche se le dinamiche dell’offerta si protrarranno ancora a lungo, non dovrebbero produrre, nei prossimi mesi, lo stesso effetto negativo sulle obbligazioni cui abbiamo assistito nel secondo trimestre del 2015». Il rimbalzo dei tassi d’interesse è una notizia  tutt’altro che una cattiv. Innanzitutto, perché è conseguenza anche delle buone nuove provenienti dal quadro macroeconomico: sia la crescita reale che l’inflazione hanno abbandonato i livelli allarmanti dell’anno passato. In secondo luogo, perché il rafforzamento del Dollaro e l’indebolimento dell’Euro, che ne è derivato, ha avuto e avrà effetti positivi, sia per la competitività, sia per la maggiore inflazione importata. Per quale motivo, dunque, il mercato appare sorpreso? Principalmente perché, in un mondo surreale di tassi vicini allo zero, o, addirittura, negativi, un incremento dei Bund tedeschi all’1% diventa il più forte incremento, e quindi, la più ampia caduta dei prezzi, dal 1988, altrimenti si rischia di perdere in poche settimane i proventi delle cedole di sei anni. Il nervosismo dei mercati è dovuto all’aspettativa che la BCE realizzasse il suo piano, evitando sbalzi eccessivi alla volatilità dei tassi e, di conseguenza, dei prezzi.borsa Ma questo non rientra affatto nelle preoccupazioni della Banca Centrale Europea. Ad una precisa domanda alla conferenza del 2 giugno scorso, il governatore Draghi ha risposto che bisogna abituarsi a periodi, come questo, di elevata volatilità, dando, quindi, un messaggio molto fermo sulla politica della BCE: se movimenti, anche violenti, dei prezzi dei titoli pubblici sono la conseguenza di dinamiche fisiologiche di mercato, la politica monetaria deve continuare a remare nella stessa direzione disegnata dal piano originario. Non si può deviare dalla rotta per accomodare le tensioni che nascono da perturbazioni improvvise nella variabilità dei tassi e dei prezzi. Inoltre, ha aggiunto un’ulteriore importante considerazione: la Banca Centrale Europea non si può nemmeno preoccupare delle conseguenze microeconomiche di uno scenario di tassi d’interesse molto bassi. Interi settori dell’intermediazione non sono per nulla avvantaggiati da uno scenario a medio termine di bassi tassi, con buona pace di quelli che continuano a parlare di “regalo” alle banche.

Giuseppe De Simone