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Bertrand Russell aveva ragione!

Senza pensiero critico la democrazia muore

 

 

 

 

Una delle responsabilità più alte e decisive che competono alla scuola in una nazione democratica è quella di formare il pensiero critico dei suoi studenti. Non si tratta semplicemente di trasmettere informazioni o far memorizzare contenuti, ma di costruire teste pensanti, capaci di orientarsi nel mondo con giudizio autonomo e con apertura verso l’altro. Bertrand Russell, nel saggio Perché non sono cristiano del 1927, lo afferma con estrema lucidità: una democrazia vive solo se i suoi cittadini sono in grado di pensare criticamente e di confrontarsi con opinioni diverse dalle proprie. Dove questo esercizio viene impedito, si rischia di sostituire il dialogo con il dogma e la pluralità con l’uniformità.
La scuola, in questo senso, non è soltanto un luogo di istruzione, ma uno dei principali laboratori di cittadinanza. Qui si gettano le basi del pensiero libero, si impara a distinguere un fatto da un’opinione, a riconoscere le manipolazioni, a porsi domande scomode. Si apprende, soprattutto, che esistono molteplici punti di vista e che la verità non è mai proprietà esclusiva di una sola voce. Allenare il pensiero critico significa insegnare ad ascoltare senza aderire automaticamente, a dissentire senza aggredire, a valutare i contenuti e non solo chi li esprime.

Quando, al contrario, l’ambiente scolastico viene limitato dalla censura – sia essa politica, ideologica o culturale – il processo educativo viene snaturato. Se all’insegnante viene tolta la libertà di stimolare il confronto, di presentare visioni alternative, di affrontare argomenti controversi, il rischio è quello di ridurre l’istruzione a un esercizio meccanico, privo di vitalità e di senso. Peggio ancora, si finisce per alimentare un conformismo sterile, che non prepara alla vita, ma alla dipendenza intellettuale. Si coltivano così non cittadini liberi e responsabili, ma individui incapaci di gestire la complessità del reale. In altre parole, si costruisce il terreno perfetto per l’emergere del fanatismo, dell’intolleranza, della chiusura mentale.
Il pensiero di Russell, seppur espresso quasi un secolo fa, risuona oggi con una forza rinnovata. In un’epoca segnata dalla polarizzazione, dalla diffusione di fake news, dall’acerrimo odio per il nemico politico e da un crescente discredito verso la competenza e la conoscenza, la difesa del pensiero critico come cardine dell’educazione è un’urgenza civile. Non basta parlare di libertà: bisogna praticarla, e l’unico modo per farlo è rendere le persone capaci di capire, valutare, decidere con consapevolezza.
Una scuola che si limita a “non offendere” o a “non esporsi” per paura di reazioni o censure non è neutrale: è complice di una rinuncia educativa. La neutralità, in contesti di conflitto culturale o politico, spesso si traduce in accettazione silenziosa dello status quo. Al contrario, una scuola viva è una scuola che stimola il dubbio, che accoglie la complessità, che insegna a riconoscere la differenza tra libertà e permissivismo, tra rispetto e passività.
Educare al pensiero critico, quindi, è il più grande investimento che una società possa fare su sé stessa. Significa formare persone che non si accontentano di slogan, che non si lasciano guidare solo dalle emozioni o dal gruppo, ma che cercano, ragionano, scelgono. Solo così è possibile mantenere viva una democrazia: affidandosi non a una massa obbediente, ma a cittadini capaci di pensare.

 

 

 

 

Il Triregno di Pietro Giannone

L’anatema illuminista contro il potere assoluto della Chiesa

 

 

 

 

Il Triregnum di Pietro Giannone (1676-1748) costituisce uno dei contributi più radicali alla critica dell’ingerenza ecclesiastica nella sfera politica e sociale. Giannone, noto per la sua Istoria civile del Regno di Napoli (1723), fu un pensatore illuminista anticipatore della separazione tra Stato e Chiesa e un fermo oppositore dell’assolutismo papale. Il Triregno si distingue per la sua visione sistematica del potere papale, suddiviso in tre regni: temporale, spirituale e delle coscienze, un’analisi che mostra come la Chiesa abbia costruito nel corso dei secoli un dominio articolato e pervasivo.
L’opera, scritta probabilmente negli ultimi anni di vita di Giannone, durante la sua lunga prigionia nelle carceri sabaude, non fu mai pubblicata integralmente mentre l’autore era in vita, ma circolò in ambienti intellettuali e fu recuperata successivamente. Il suo contenuto risulta estremamente innovativo per l’epoca e si pone in continuità con le grandi discussioni illuministiche sulla natura del potere e sulla necessità di limitarne gli abusi.
Il titolo stesso dell’opera rivela la tesi centrale di Giannone: il potere della Chiesa non si limita a una sfera puramente spirituale, ma si estende a un dominio triplice che incide sulla politica, sulla religione e persino sulla vita intima degli individui. L’autore suddivide l’influenza del papato in tre livelli distinti. Il regno temporale, primo livello che riguarda il controllo diretto della Chiesa sulla politica e sull’amministrazione dei territori. Giannone denuncia come il papato, con il pretesto della difesa della fede, abbia accumulato enormi ricchezze e potere, interferendo con le decisioni dei sovrani e limitando la sovranità degli Stati. Egli critica l’uso della scomunica e dell’interdetto come strumenti politici, utilizzati per piegare i governanti alla volontà della Santa Sede. Il regno spirituale, secondo livello che si riferisce al monopolio della religione da parte della Chiesa, che ha imposto un controllo assoluto sulla dottrina, sui sacramenti e sulla disciplina ecclesiastica. Giannone evidenzia come la Chiesa abbia sfruttato la religione come strumento di dominio, manipolando la teologia per legittimare il proprio potere e scoraggiando ogni forma di pensiero critico. Egli critica in particolare il dogmatismo imposto dai concili e la rigidità delle gerarchie ecclesiastiche, che ostacolano l’evoluzione della società. Il regno delle coscienze, l’ultimo e più subdolo livello del potere papale riguarda il controllo sulla sfera privata e sul pensiero individuale. Giannone analizza come la confessione obbligatoria, l’Inquisizione e l’educazione religiosa siano stati strumenti utilizzati per condizionare le credenze personali, imponendo un modello di pensiero unico e la repressione ogni forma di dissenso. Egli denuncia in particolare il potere del clero di influenzare la morale pubblica e privata, esercitando un’autorità superiore perfino a quella dello Stato.

L’autore sottolinea come questi tre “regni” siano interconnessi e si rafforzino reciprocamente: il potere temporale garantisce l’autorità per far rispettare il dominio spirituale e delle coscienze, mentre il monopolio sulla fede e sulla morale giustifica l’invadenza della Chiesa nella politica e nelle istituzioni civili.
Giannone scrisse il Triregno in un’epoca in cui il dibattito sul rapporto tra potere religioso e potere civile era particolarmente acceso. Il Settecento fu un periodo di forti tensioni tra il papato e i monarchi europei, che cercavano di limitare l’influenza della Chiesa nei loro territori. In particolare, i regni di Napoli, Spagna e Francia furono teatro di riforme giurisdizionaliste, volte a riaffermare l’autonomia dello Stato dalla Santa Sede. Nel Regno di Napoli, Giannone si inserì in questa corrente di pensiero, sostenendo la necessità di abolire i privilegi del clero e di riformare la giustizia per renderla indipendente dall’autorità ecclesiastica. La sua Istoria civile del Regno di Napoli aveva già suscitato l’ira della Chiesa per la sua denuncia delle usurpazioni del potere statale da parte del papato. A causa delle sue idee, Giannone fu costretto all’esilio e trascorse il resto della sua vita in fuga e in prigionia. Il Triregno rappresenta il culmine della sua riflessione politica e religiosa: in esso, egli non si limita a denunciare le ingerenze della Chiesa, ma propone una visione laica del potere, anticipando molte delle idee che si svilupperanno con l’Illuminismo e le rivoluzioni del XVIII e XIX secolo.
Sebbene meno noto rispetto ad altre opere settecentesche, il Triregno è un testo di grande valore per la storia del pensiero politico e religioso. La sua analisi del potere papale come sistema articolato e oppressivo risulta ancora attuale nella riflessione sulla laicità dello Stato e sulla separazione tra politica e religione.
L’opera di Giannone influenzò il pensiero di altri intellettuali illuministi e anticlericali, contribuendo alla formazione di un movimento culturale che porterà alla progressiva emancipazione degli Stati europei dall’autorità della Chiesa. Idee simili si ritroveranno nelle riforme giurisdizionaliste promosse da monarchi come Giuseppe II d’Austria e nelle battaglie politiche che condurranno alla fine del potere temporale dei papi nel 1870, con la presa di Roma da parte dello Stato italiano.
Oggi, il Triregno è studiato come un documento fondamentale per comprendere il conflitto storico tra autorità ecclesiastica e statale e per riflettere sui meccanismi attraverso cui il potere religioso può influenzare le istituzioni e la società. La battaglia di Giannone per un ordine politico fondato sulla ragione e sulla libertà di pensiero rimane una lezione di straordinaria attualità.