Archivi giornalieri: 12 Maggio 2025

Jeanne Hébuterne: la luce di Modigliani

 

 

Recensione di Carmela Puntillo

 

 

 

Il libro di Stefania Colombo, Morellini Editore, 2024, racconta la vita di Jeanne Hébuterne, compagna del pittore Amedeo Modigliani, focalizzandosi sugli anni trascorsi con lui e sui giorni prima del suo suicidio. Parigi. La Prima guerra mondiale devasta l’Europa e il mondo. Una coppia lotta per sopravvivere nell’ambiente di Montparnasse, tra pittori, ritrovi allo “Chez Rosalie” (il ristorante degli artisti dove andavano a cenare Jeanne e Modigliani e dove la padrona, Teresa, un’italiana, li accoglie amichevolmente ed accetta che la paghino solo con i disegni di lui e non con denaro) e alla “Rotonde” (un locale dove Victor, il padrone, difende gli artisti anche contro la polizia che li controlla perché sono renitenti alla leva). Lei, Jeanne Hébuterne, compagna di “Modi”, ha abbandonato la sua vita borghese e benestante e ha accettato di vivere solo di arte e di amore, in una povertà difficile da gestire ma che ha voluto per coltivare queste due passioni. Il contrasto con il padre, tradizionalista e contrario a un’unione non ufficiale quale la convivenza con Modigliani, povero, alcolizzato e drogato, è profondo, tanto che Jeanne ha scelto di lasciare la casa dei genitori, rinnegandoli. La madre, di un cattolicesimo rigido e che vive una vita quasi monacale a cui vorrebbe che aderissero anche i figli, la condanna ugualmente ma prova tenerezza per lei e vuole aiutarla nelle sue difficoltà. Accetta, quindi, di accompagnarla in Provenza quando Amedeo ha bisogno di tepore perché ha la tubercolosi. In questa trama gli avvenimenti della vita presente si intrecciano a quelli della vita passata per mezzo di flash-back, rendendo la storia più interessante e creando una struttura dinamica. Abbiamo, quindi, un susseguirsi di vicende nella narrazione dettagliata della vita di lei: i giochi col fratello André quando facevano la gara sui gradini della chiesa, il temporale che li aveva colti un giorno quando stavano andando a catechismo, il suo desiderio di imparare l’arpa e l’imposizione dei genitori di studiare il violino, la partenza del fratello per la guerra, le lezioni all’Accademia Colarossi, l’incontro con l’amica Chana, la conoscenza di Modigliani, le pose per il pittore giapponese Foujita, il ripudio da parte del padre, la prima gravidanza, l’imbarazzo della scelta su a chi dare per prima la notizia, il bombardamento della chiesa di Saint-Gervais, la tosse di Amedeo che la svegliava di notte, il soggiorno in Provenza, il dolore del parto, il padre indifferente che non sa amarla, lei che non riesce ad amare la figlia, la fine della guerra, la vita per l’arte, la vita per Amedeo, il dolore di vedersi separata dalla sua bimba, Amedeo che non vuole farsi curare ma che poi decide di andare in Italia dove c’è più tepore, il tentativo di insegnarle l’italiano attraverso la pittura, l’aggravarsi della tubercolosi, Amedeo che è costretto a letto, Amedeo che ha un’emorragia e che è trasportato all’ospedale, la notizia della morte appresa indirettamente attraverso sussurri e mormorii, la visita all’ospedale al corpo morto, il dolore e la disperazione, il salto nel vuoto e la fine. Tutta una vita. E Modigliani riempie questi episodi con il suo umorismo, la sua arte perfetta da vero artista di Montparnasse che vuole condurre una vita “bouleverdière”, lontano dalle convenzioni della società e dallo schiacciamento della politica. Un romanzo veramente appassionante, che ci racconta la storia di un’anima e anche un po’ di storia d’Europa.

 

 

 

 

 

 

L’inganno del progresso

Rousseau e la condanna della civiltà corrotta

 

 

 

 

Il Discorso sulle scienze e sulle arti di Jean-Jacques Rousseau, pubblicato nel 1750, segnò l’inizio della sua riflessione critica sulla civiltà e sulla condizione umana. Quest’opera, scritta in risposta a un concorso indetto dall’Accademia di Digione, gli valse il primo premio e lo rese celebre nel dibattito filosofico del tempo. In essa, Rousseau sostiene una tesi radicale e in netta contrapposizione con la visione dominante dell’Illuminismo: il progresso delle scienze e delle arti non ha reso gli uomini migliori; al contrario, ha contribuito alla loro corruzione morale. Egli ribalta la convinzione diffusa tra i philosophes secondo cui la diffusione del sapere porterebbe inevitabilmente a un miglioramento della società. Afferma, invece, che la civiltà, con il suo sviluppo intellettuale e materiale, abbia allontanato l’umanità dalla virtù e dalla felicità autentica.
Rousseau, come detto, scrive il Discorso in risposta alla domanda posta dall’Accademia di Digione: “Il progresso delle scienze e delle arti ha contribuito a migliorare i costumi?”. La sua risposta è un netto no e l’opera si sviluppa proprio come una dimostrazione di questa affermazione. Il testo è articolato in due parti: nella prima, il filosofo descrive i danni morali causati dal progresso delle conoscenze, mentre nella seconda approfondisce il modo in cui la civiltà ha favorito la corruzione degli uomini, creando una società basata sull’apparenza e sull’ingiustizia.
Nella parte iniziale, Rousseau prende di mira l’idea, largamente diffusa tra gli intellettuali del suo tempo, che la scienza e l’arte abbiano reso gli uomini migliori. Egli sostiene invece che questi ambiti abbiano avuto l’effetto opposto: piuttosto che promuovere la virtù, hanno incentivato il vizio, la vanità e il desiderio di distinzione. La conoscenza, lungi dall’essere un mezzo per raggiungere la saggezza, è diventata uno strumento di competizione e di corruzione morale. Secondo Rousseau, gli uomini antichi, privi delle sofisticazioni moderne, vivevano in maniera più semplice e più retta, senza le falsità e le maschere imposte dalla società colta.
Nella seconda parte, approfondisce la sua critica alle conseguenze sociali del progresso. Denuncia il ruolo delle istituzioni culturali, educative e politiche nel perpetuare una cultura dell’ipocrisia e dell’esteriorità. Secondo il filosofo, gli uomini moderni sono stati educati a perseguire il prestigio e la fama piuttosto che la vera conoscenza e la virtù. Questo ha portato alla diffusione di un modello di società in cui l’apparenza ha sostituito l’essere e in cui la ricerca della verità è stata soppiantata dalla volontà di piacere e di dominare gli altri. La civiltà, invece di elevare l’animo umano, ha creato individui alienati, incapaci di vivere in armonia con la propria natura.

Un elemento centrale della riflessione di Rousseau è la contrapposizione tra progresso materiale e progresso morale. Egli ritiene che, mentre le scienze e le arti hanno fatto grandi passi avanti nel fornire comfort e strumenti tecnologici all’umanità, hanno paradossalmente causato un declino della rettitudine morale. Rousseau porta l’esempio delle grandi civiltà del passato, come l’antica Grecia e Roma, per dimostrare che il fiorire delle arti e delle lettere sia sempre stato accompagnato da una decadenza morale e da un indebolimento delle virtù pubbliche. Secondo lui, quando un popolo diventa troppo raffinato e sofisticato perde il senso della giustizia e della solidarietà, sostituiti da un crescente individualismo e da una ricerca ossessiva del piacere.
A suo avviso, la cultura moderna ha prodotto una forma di conoscenza sterile, priva di autenticità e scollegata dai veri bisogni umani. Gli uomini non studiano più per migliorarsi, ma per apparire superiori agli altri; non cercano più la verità, ma il riconoscimento sociale. Questo ha generato una società di maschere, in cui la sincerità e la spontaneità sono state sostituite dalla falsità e dalla competizione. Per Rousseau, questa degenerazione morale è il risultato diretto del progresso, che ha trasformato la vita umana in un gioco di prestigio e di inganni.
Uno degli aspetti più innovativi di quest’opera è l’analisi della perdita dell’autenticità nella società moderna. Rousseau sostiene che la civiltà abbia reso gli uomini schiavi delle convenzioni sociali, costringendoli a vivere in modo innaturale. Mentre l’uomo primitivo era libero e spontaneo, l’uomo moderno è vincolato da norme e aspettative che lo obbligano a comportarsi in modo artificiale. Rousseau vede in questo processo una forma di alienazione, in cui l’individuo perde il contatto con la propria essenza e diventa un semplice ingranaggio in un sistema basato sull’apparenza. L’educazione, piuttosto che di liberare l’uomo, lo ha reso prigioniero di un sapere vuoto e formale. Le accademie, le università e le istituzioni culturali, invece di promuovere la saggezza, hanno creato una casta di intellettuali arroganti e distaccati dalla realtà. Questo ha portato alla formazione di una società in cui il valore di un individuo è determinato non dalla sua bontà o dal suo contributo al bene comune, ma dalla sua capacità di conformarsi agli standard imposti dalla cultura dominante.
Rousseau individua nel lusso uno dei simboli più evidenti della corruzione della civiltà moderna. Egli ritiene che il desiderio di ricchezza e di comodità abbia corrotto l’animo umano, portandolo a inseguire piaceri effimeri piuttosto che valori autentici. Il lusso non è solo una manifestazione di sfarzo materiale, ma una vera e propria malattia sociale, che genera disuguaglianze e fratture tra gli uomini. Le società primitive, prive di grandi ricchezze, erano anche più egualitarie e solidali, mentre la civiltà moderna ha prodotto una società stratificata, in cui pochi privilegiati godono di immense ricchezze mentre la maggioranza è relegata nella miseria.
Questo aspetto della sua critica anticipa molte delle idee che svilupperà nel Discorso sull’origine e i fondamenti della disuguaglianza tra gli uomini, in cui analizzerà più in dettaglio come la proprietà privata e il progresso abbiano creato gerarchie ingiuste e forme di oppressione sociale. Nel Discorso sulle scienze e sulle arti, Rousseau getta le basi di questa riflessione, mostrando come il progresso, invece di portare giustizia e uguaglianza, abbia rafforzato il dominio dei più forti sui più deboli.
Il Discorso sulle scienze e sulle arti, quindi, porta una delle critiche più radicali alla civiltà moderna e all’idea di progresso. Rousseau mette in discussione la convinzione illuminista secondo cui la conoscenza conduca necessariamente al miglioramento della società, sostenendo invece che essa ha spesso prodotto disuguaglianza, alienazione e corruzione morale. La sua analisi, pur essendo radicata nel contesto del XVIII secolo, solleva interrogativi ancora attuali: il progresso scientifico e tecnologico rende davvero gli uomini migliori? Oppure, rischia di allontanarli dalla loro autenticità e di rafforzare le ingiustizie sociali?