Si può piangere dinanzi ad un’opera d’arte, esposta in una mostra? Certamente! Soprattutto se una riproduzione fotografica di questo capolavoro è stata usata, qualche anno prima, come immagine di copertina di un libretto di poesie, scritte per celebrare una donna. Si piange perché, ammirandola, quell’opera d’arte diventa quella donna, i suoi occhi, la sua bocca, i suoi seni, le sue mani. Quegli occhi, quella bocca, quei seni, quelle mani diventano versi e letteratura. Quei versi e quella letteratura diventano William Turner e La valorosa Tèmèraire. William Turner e La valorosa Tèmèraire diventano quella donna, i suoi occhi, la sua bocca, i suoi seni, le sue mani. Ecco il miracolo dell’arte e della letteratura! Ecco la funzione dell’arte e della letteratura! Ecco cos’è l’arte, cos’è la letteratura e cosa sono per me (lo rivendico con orgoglio), le donne!
William Turner, “La valorosa Téméraire trainata al suo ultimo ancoraggio per essere demolita”, 1839
Londra, National Portrait Gallery
Un poeta, ogni vero poeta, non compone mai da solo. Lo fa sempre a due mani e a due cuori, insieme con la sua ispirazione (qualunque o chiunque essa sia). Questa, infatti, detta e il poeta scrive. Ecco perché il poeta non è mai solo. Ecco perché il poeta, nell’atto di scrivere, soltanto nell’atto di scrivere, si ricongiunge veramente, materialmente e spiritualmente, con la sua ispirazione!
Un poeta, ogni vero poeta, non compone mai da solo. Lo fa sempre a due mani e a due cuori, insieme con la sua ispirazione (qualunque o chiunque essa sia). Questa, infatti, detta e il poeta scrive. Ecco perché il poeta non è mai solo. Ecco perché il poeta, nell’atto di scrivere, soltanto nell’atto di scrivere, si ricongiunge veramente, materialmente e spiritualmente, con la sua ispirazione! (R. P.)
C’è un cofanetto nel mio cuore, piccolo. Con un penna da calamaio incisa sopra. Lì dentro ci sei tu. Ho dovuto chiuderlo per molto tempo. Ma è sempre lì. Quando lo apro risuona una musica dolce. È la tua voce, che legge i miei versi. La delicata armonia sono le tue mani che accarezzano la mia testa, e le mie che sfiorano il tuo corpo nudo e i nostri occhi, lucidi, che arrivano fin sotto la pelle. L’amore non ha tempo e tu sarai sempre il mio infinito…
Lettere. Un alfabeto inventato che inizia col niente e finisce con te. Sillabe. Unioni di lettere che scandiscono il tempo di queste mie ore prive di te. Parole. Legami di sillabe che compongono lemmi che sanno ripetere soltanto il tuo nome. Versi. Serie di parole che danzano in una partitura superba di un solenne canone barocco. Poesia. Insieme di tempo, di lettere, di sillabe e musica, di nomi e parole. Di versi. Di te.
Diecimila anni non sono bastati all’uomo per decifrare i misteri dell’Universo. E tu, vuoi che in pochi minuti io ti spieghi perché mi sono innamorato di te!
Lei è mia madre. Oggi è il suo compleanno. Anche questa foto venne scattata il giorno del suo compleanno. Anche in questa foto si vede quanto siamo diverse. Io ridevo sempre. Anche lei rideva. E con in capelli lunghi e ricci era bellissima. A scattare la foto con la mitica Polaroid che stampava subito c’era mio padre. Che era fissato per queste cose. Lei non lo sapeva, ma dopo qualche anno saremmo rimaste sole. Lei a pagare il mutuo di una casa appena acquistata. Io a fingere la normalità per tornare a scuola. E a cercare di farmi andare bene le cose che erano successe, senza pensarci. Io e lei, perchè altre persone non c’erano. Una sera, dopo molti mesi dall’accaduto, mi accorsi che lei metteva chiavi, chiavistello e due sedie all’interno dietro la porta di casa. Le dissi: “Ma che fai? Se torna Papà come entra?”. Lei mi prese per mano e tutta la notte parlammo sul lettone. E mi raccontò quello che io avevo rimosso. Non sarebbe mai tornato, ma potevamo tenerne viva la memoria con le foto, un filmino. Potevamo parlarne. Potevamo andare a trovarlo, fare pic nic sul prato dove era l’ulivo che avremmo piantato. E io avrei potuto prendere la patente e portare la sua macchina. E molte altre cose. Ma non lo avremmo più visto. No. Su questo punto doveva essere chiara, dura. E lo fu.
E questo scricciolo di donna è dura anche oggi, quando mi dice: “Io ho la forza di ripartorirti di nuovo, se necessario!”.
Oggi è il compleanno di mia madre. Ma lei è andata al funerale della cugina. L’ultima foglia leggera e delicata della sua famiglia d’origine. Le ho prestato una mia maglietta rossa. Come è rossa la maglietta che ho io in questa foto. Io non abbraccio mai mia madre. Non so farlo. Per questo, oggi, le ho dato una mia maglietta.
Novella Settimi
In questi pochi righi c’è l’essenza di quello che sono Donne. Istinto, forza, dolcezza. Queste parole sono un compendio della storia universale, della storia del mondo. Ho scritto spesso che il cuore di una donna contiene la storia del mondo. Leggendo, ne ho avuto una ulteriore e inconfutabile prova. Vi ho letto la storia omerica dell’animo umano e quella shakespeariana delle passioni umane. Mi piacerebbe davvero conoscerle queste due eroine della letteratura dell’animo e delle passioni, non fosse altro che per guardare Novella mentre la madre le ripete: “Io ho la forza di ripartorirti di nuovo, se necessario!”. Questa frase risuona potente come le prime quattro battute della “Quinta” di Beethoven. Mi ha spiazzato. Mi ha esaltato. Ma, soprattutto, mi ha fatto capire che mai e mai parole di un uomo potranno definire ciò che sono le Donne. Forse, la poesia è l’unico sforzo che un uomo possa compiere per cercare di rappresentarle!
Tre bicchieri di vino ho bevuto su un prato di margherite. Il primo, per misurare la mia resistenza ai tuoi occhi. Il secondo, per acquerellare perle tra le tue mani. Il terzo, per barcollare tra i tuoi capelli increspati. E, infine, l’ebbrezza, per vaneggiare il sapore della tua bocca carnosa.
Giovani, liberi di giocare, da soli, col tempo sotto quell’albero di ciliegie dove ci arrampicavamo, al mattino, per cogliere il sole e far colazione. Giovani. Le tiepide notti, insieme, non avevano fine, nemmeno con l’alba. Tredici anni. Un giorno.
Eccoli quelli che amano. Sono queste pire. Queste torce nella neve. Sono miseri, ridicoli, e ti stordiscono coi loro gemiti. Fattene una ragione. Nulla è più tragico di chi rema senza più il favore del faro.
Il poeta, guardando la propria donna, vede, attraverso gli occhi di lei, tutto l’incanto del mondo. E lo canta. Negli occhi di una donna c’è la bellezza del mare, dei riflessi dorati sulla sua superficie, del cielo, delle nuvole, del tramonto. C’è la bellezza di un’opera d’arte, di una costruzione d’ingegno, di una stravaganza della mente. C’è la bellezza della passione, della sofferenza, della mancanza, del desiderio. C’è la bellezza della vita e la bellezza della morte. Sì, anche quella! Ecco cos’è la composizione poetica. Un canto che il poeta non può placare possedendo la sua donna. Un canto che non avrebbe mai potuto avere voce se il poeta non avesse guardato negli occhi della sua donna. La donna è il canto dell’Universo!