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Voluntas e Noluntas

La tragicità dell’esistenza e la via della liberazione
secondo Schopenhauer

 

 

 

 

Arthur Schopenhauer ha dedicato la sua opera più significativa, Il mondo come volontà e rappresentazione, all’analisi profonda della natura umana e dell’esistenza. Al centro del suo pensiero vi è la convinzione che l’essere umano sia in balia di una forza irrazionale e imperscrutabile, la Volontà (voluntas, in latino). Questa forza è la vera essenza del mondo, una spinta cieca e incessante, che non risponde a scopi finalizzati né al bene individuale o collettivo, ma si manifesta attraverso un perpetuo desiderio di autoconservazione e replicazione.
La Volontà non rappresenta semplicemente il desiderio individuale, ma un principio metafisico universale. Schopenhauer identifica in essa l’essenza stessa della realtà: ogni fenomeno naturale, ogni impulso vitale, ogni manifestazione dell’essere non è altro che un riflesso di questa forza. Essa è cieca e indifferente, non agisce in funzione di un progetto superiore e non conosce fini morali o teleologici. La sua manifestazione nell’uomo è evidente attraverso il ciclo perpetuo del desiderio e dell’insoddisfazione: l’uomo, dominato dalla Volontà, desidera costantemente, ma non raggiunge mai una soddisfazione duratura. Anche una volta ottenuto ciò che desidera, il senso di appagamento svanisce presto, lasciando spazio a nuovi desideri. Questo processo, per Schopenhauer, è la fonte di ogni sofferenza umana.
Il filosofo sottolinea la tragicità dell’esistenza umana proprio per la sua sottomissione alla Volontà. L’uomo non è che una pedina, uno strumento per perpetuare la Volontà stessa, il cui scopo non è altro che quello di generare innumerevoli copie della vita senza uno scopo ultimo. Questa visione conduce Schopenhauer a considerare l’esistenza come intrinsecamente dolorosa e priva di significato. A differenza delle filosofie che attribuiscono alla volontà un valore positivo o costruttivo, come accade in alcune letture idealistiche, Schopenhauer la descrive come un potere oscuro, inesorabile, la cui natura è di condannare l’essere vivente a un perpetuo stato di insoddisfazione.

Di fronte a questa condizione esistenziale, Schopenhauer introduce il concetto di Noluntas, ossia la negazione della Volontà. La Noluntas è la rinuncia volontaria al desiderio e all’impulso incessante che la Volontà rappresenta. Secondo il filosofo, solo attraverso la consapevolezza della natura della Volontà e la scelta deliberata di opporsi a essa è possibile raggiungere uno stato di pace interiore. La Noluntas non è un mero rifiuto del piacere o dell’appagamento, ma una profonda forma di distacco che porta alla liberazione dal ciclo della sofferenza. In termini filosofici, questo processo di negazione corrisponde all’estirpazione del desiderio, il quale è la radice di ogni tormento.
Il concetto di Noluntas, sebbene già presente in San Tommaso d’Aquino, con l’accezione morale di “fuga dal male” e “rifiuto del peccato”, assume con Schopenhauer una dimensione esistenziale più ampia. Per il filosofo tedesco, la Noluntas è la strada che conduce al superamento della sofferenza e all’illuminazione, simile al concetto orientale di Nirvana. Infatti, nel parallelo tra la filosofia schopenhaueriana e il buddhismo, la Noluntas diventa sinonimo di un processo di annullamento dell’ego e di distacco totale dal desiderio, che permette di sfuggire alla catena di causa ed effetto e al dolore perpetuo.
La somiglianza tra la Noluntas e il Nirvana del buddhismo è evidente nella comune aspirazione a liberarsi dal ciclo dell’esistenza. In entrambe le prospettive, il desiderio è visto come la radice della sofferenza. Tuttavia, Schopenhauer, a differenza delle religioni e delle filosofie orientali, non considera questo percorso come un cammino accessibile a tutti. La Noluntas è una condizione straordinaria, raggiungibile solo da coloro che riescono a comprendere la vera natura della Volontà e ad adottare un approccio ascetico alla vita, vòlto a rinunciare ai piaceri mondani e a spegnere il desiderio. Questa condizione rappresenta una forma di estinzione dell’individualità e una fusione con l’ordine universale, libera dalla schiavitù del volere.

 

 

 

 

Pixies

 

Band di rock alternativo statunitense, formatasi a Boston nel 1986, è considerata dalla critica tra le più importanti e influenti del rock alternativo. La loro è una musica piuttosto caotica e distorta, spesso fino all’inverosimile, fatta di melodie scanzonate e ritmi ossessivi. pixies_1_1351682644I Pixies hanno senza dubbio coniato un nuovo e innovativo linguaggio musicale, dal quale hanno attinto ispirazione tante band dei ‘90, tra cui addirittura i Nirvana di Kurt Cobain. La loro è una storia come tante. Nel 1986, il cantante Black Francis e il chitarrista Joey Santiago si conoscono a Porto Rico, dove entrambi studiano. I due decidono di lasciare l’università e di inseguire il loro sogno musicale. Si trasferiscono a Boston e, grazie a un annuncio su un giornale, la band è fatta. Si uniranno a loro la giovane e talentuosa bassista Kim Deal e il batterista David Lovering. I ragazzi iniziano pian piano a spopolare nei locali di Boston con la loro strana ma originale musica, definita noise pop (due terzi di rumore e un terzo di pop). Le loro sono canzoni acide e molto violente, ma nelle quali c’è sempre un nucleo melodico di fondo ben definito. Nel 1987, i Pixies esordiscono con un EP dal titolo Come on Pilgrim.MI0002009636 Il lavoro è ancora acerbo, ma il loro stile inizia a delinearsi chiaramente. Nel 1988, invece, c’è la svolta definitiva. La band pubblica il disco Surfer Rosa, Rough Trade (copertina a  sinistra), e immediatamente raggiunge il primo posto delle classifiche inglesi di rock indipendente. L’album viene accolto dalla critica musicale con grande entusiasmo. Si parla di ultimo grande capolavoro del post-punk e artisti di caratura  internazionale  come  David  Bowie  si affrettano ad esprimere il loro apprezzamento per il lavoro della band. Musicalmente, il disco ripropone il sound base del gruppo: un garage rock interpretato in maniera personalissima, in quanto stravolto da riff di chitarra distorta, ritmi spasmodici, urla isteriche ma unite sempre a una melodia di base, che addolcisce il tutto, creando un’atmosfera eterea e infernale a un tempo, confondendo e stordendo l’ascoltatore che si trova in balia di una musica stralunata e quanto mai originale. Il disco parte in quarta con Bone Machine (ascolta), una canzone ferocissima dominata da dissonanze ed effetti ossessivi. La foga e la tensione diventano, poi, sempre più esagitate e lo si sente in pezzi di chiara ispirazione punk come Something against you e Broken face (ascolta), canzoni nevrotiche e veloci. Poi la tensione si smorza e i quattro ragazzi di Boston virano verso un sound meno caotico e veloce, leggermente più melodico, ma dal forte impatto psicologico, come nella canzone River Euprhrates  e in Gigantic, la ballata firmata dalla bassista Kim Deal che veste i panni di songwirter. La musica di Gigantic (ascolta) è molto lineare ma dal forte impatto emotivo: su una semplice linea di basso, accompagnata dalla batteria, si innestano le chitarre, mentre la voce della bassista crea una delicatissima linea melodica. pixies2Ma il pezzo in assoluto più travolgente del disco è Where is my mind (ascolta): una melodia tremendamente acida, ossessiva e delirante, una sessione ritmica molto cadenzata, lenta ma inesorabile, e un testo surreale concorrono a creare la canzone perfetta, destinata a divenire uno degli inni per eccellenza dei Pixies  e a far parte della colonna sonora dell’immortale capolavoro del cinema Fight Club. Surfer Rosa è un disco sorprendentemente innovativo, dalle infinite influenze e in cui domina una tensione di fondo, quasi snervante. Un disco con cui i Pixies hanno coniato un nuovo modo di fare rock, destinato a divenire (un po’ come è successo per i Sonic Youth) una inesauribile miniera di ispirazione per tante band degli anni ‘90. Un disco assolutamente da ascoltare per capire le successive evoluzioni della musica rock e gli anni Novanta.

 Pier Luigi Tizzano