Martin Heidegger, nel suo scritto Phänomenologische Interpretationen zu Aristoteles (Interpretazioni fenomenologiche di Aristotele) sviluppa una delle letture più profonde e originali del pensiero aristotelico, evidenziando come l’opera del filosofo greco racchiuda le basi per un’autentica indagine fenomenologica dell’essere. Questo lavoro nasce dalle lezioni che Heidegger tenne tra il 1921 e il 1922, durante i cosiddetti primi corsi friburghesi, in cui il filosofo non si limita a un’esegesi puramente filologica dei testi aristotelici, ma ne approfondisce la dimensione esistenziale e fenomenologica. Heidegger dimostra come Aristotele avesse già intuito dinamiche fondamentali dell’esperienza umana, che la fenomenologia contemporanea è riuscita a riattivare e sviluppare in profondità.
Questa interpretazione innovativa non passò inosservata nel contesto accademico dell’epoca. Heidegger inviò il manoscritto, noto anche come Natorp-Bericht, a due figure chiave del panorama filosofico tedesco: Paul Natorp (1854-1924) e Georg Misch (1878-1965), candidandosi per l’insegnamento rispettivamente presso le Università di Marburgo e Gottinga. Natorp rimase profondamente colpito dall’approccio heideggeriano ad Aristotele, riconoscendone l’originalità e la profondità ermeneutica, e nel 1923 decise di nominarlo professore straordinario all’Università di Marburgo.
L’opera segna un momento fondamentale nella formazione del pensiero heideggeriano, anticipando tematiche che troveranno pieno sviluppo in Essere e tempo. Attraverso l’interpretazione fenomenologica di Aristotele, Heidegger getta le basi per una filosofia che pone al centro l’esistenza concreta dell’essere umano e le strutture fondamentali della sua esperienza, evidenziando la continuità tra la filosofia antica e le problematiche della modernità filosofica.
Questo studio su Aristotele si colloca in un momento decisivo della formazione del pensiero heideggeriano, costituendo un ponte tra la sua fase fenomenologica, fortemente influenzata da Edmund Husserl, e le elaborazioni successive che sfoceranno in Essere e tempo. Attraverso Aristotele, Heidegger pone le basi per la sua “ontologia fondamentale”, interrogando la struttura dell’esistenza umana e il suo rapporto con il mondo.
L’aspetto più innovativo delle Phänomenologische Interpretationen zu Aristoteles risiede nel tentativo di leggere Aristotele non semplicemente come il fondatore della metafisica, ma come un pensatore che ha colto nella sua analisi della vita umana una dimensione pre-teoretica, radicata nell’esperienza vissuta (Erlebnis). Heidegger utilizza il metodo fenomenologico, appreso da Husserl, per mettere in luce le strutture ontologiche implicite nei testi aristotelici.
Il punto di partenza di Heidegger è l’idea che Aristotele non concepisce l’essere come un semplice oggetto della conoscenza astratta, ma come qualcosa che si dà primariamente nella prassi e nella vita concreta. In questo senso, Heidegger recupera la nozione di zoon politikon non solo come definizione sociale dell’uomo, ma come indicazione della sua natura esistenziale: l’uomo è un essere che si realizza nella relazione con l’altro, nella comunità e nel linguaggio.
Uno dei concetti aristotelici che riceve particolare attenzione da Heidegger è la phronesis (saggezza pratica). In Aristotele, la phronesis non è una mera competenza tecnica o una semplice virtù etica, ma una forma di sapere radicata nella situazione concreta, che guida l’azione nel contesto della vita quotidiana. Heidegger riconosce in questo concetto una chiave per comprendere la dimensione esistenziale del Dasein, ossia dell’essere umano inteso come “essere-nel-mondo”.
La phronesis diventa, nella lettura heideggeriana, una forma di comprensione che non si limita alla riflessione astratta, ma è intrinsecamente legata all’esistenza e al modo in cui l’uomo si orienta nel mondo. Questa interpretazione prepara il terreno per la distinzione che Heidegger farà più tardi tra la conoscenza teoretica (episteme) e la comprensione esistenziale (Verstehen), fulcro della sua analisi del Dasein in Essere e tempo.

Heidegger individua in Aristotele i semi di un pensiero del “mondo” come dimensione pre-teoretica e ontologica dell’esistenza. Nelle sue analisi del movimento (kinesis), della vita (zoe) e della percezione (aisthesis), Aristotele esamina il modo in cui gli enti viventi sono già immersi in un contesto di significati. Questo concetto è fondamentale per Heidegger, che lo rielabora nell’idea di In-der-Welt-sein (essere-nel-mondo).
Nelle Phänomenologische Interpretationen, Heidegger si sofferma sul concetto aristotelico di psyche (anima) non come principio metafisico astratto, ma come dinamismo vitale che definisce la modalità d’essere degli enti viventi. La psyche è ciò che consente all’essere vivente di entrare in relazione con il mondo, e questo apre la via alla comprensione del Dasein come ente che si interpreta costantemente nella sua esistenza.
Un altro tema centrale nelle Phänomenologische Interpretationen è il concetto aristotelico di tempo (chronos), che Heidegger interpreta come misura del movimento, ma anche come condizione della possibilità dell’esperienza. Se per Aristotele il tempo è legato al movimento e al cambiamento, Heidegger vede in questo una prefigurazione della temporalità esistenziale che svilupperà pienamente in Essere e tempo.
Heidegger sottolinea come il tempo non sia un’entità oggettiva, ma emerga dalla struttura dell’esistenza umana stessa. In questo senso, il tempo non è qualcosa che “passa”, ma è l’orizzonte che consente all’essere umano di progettare se stesso nel futuro, ricordare il passato e agire nel presente. La riflessione aristotelica sul tempo come “numero del movimento secondo il prima e il poi” viene così reinterpretata alla luce della temporalità del Dasein, intesa come apertura al possibile.
Sebbene riconosca l’importanza del pensiero aristotelico, Heidegger avanza anche una critica radicale: Aristotele, pur partendo da un’analisi fenomenologica dell’esperienza concreta, finisce per incanalare il suo pensiero all’interno di una logica metafisica che ha progressivamente oscurato la domanda autentica sull’essere. La sistematizzazione aristotelica della filosofia, soprattutto attraverso la categorizzazione dell’essere e la centralità della sostanza (ousia), segna l’inizio di una dimenticanza dell’essere che la filosofia occidentale porterà avanti fino alla modernità.
La “distruzione” (Destruktion) della metafisica proposta da Heidegger non è una mera negazione del pensiero aristotelico, ma un tentativo di liberare le intuizioni originarie presenti nei suoi testi dalle incrostazioni concettuali accumulate dalla tradizione. Heidegger mira così a riaprire la domanda sull’essere in tutta la sua radicalità.
Le Phänomenologische Interpretationen zu Aristoteles rappresentano uno snodo fondamentale nella formazione del pensiero heideggeriano, poiché mostrano come Aristotele possa essere letto non solo come il fondatore della metafisica occidentale, ma anche come un pensatore che ha intravisto la dimensione fenomenologica dell’esistenza umana.
Heidegger utilizza Aristotele come un interlocutore privilegiato per porre le basi della sua “ontologia fondamentale”, rielaborando concetti come phronesis, psyche e kinesis per costruire la propria analisi del Dasein e della sua temporalità. Questo dialogo con Aristotele non è un semplice esercizio storico-filosofico, ma un progetto vòlto a recuperare il senso originario della filosofia come interrogazione sull’essere.
In definitiva, per Heidegger, Aristotele è il punto di partenza e, al tempo stesso, il limite della metafisica occidentale: un pensatore che ha intuito le dinamiche esistenziali fondamentali, ma che non è riuscito a sottrarsi alla logica della categorizzazione dell’essere. Le Phänomenologische Interpretationen segnano così il tentativo di Heidegger di attraversare la tradizione filosofica per ritornare alla domanda essenziale che la metafisica ha progressivamente dimenticato: che cosa significa essere?





Pascal non si rifugia in illusioni consolatorie. Non nega la debolezza dell’uomo, anzi, la esalta come punto di partenza. Egli sa che il corpo umano può essere distrutto da un semplice soffio d’aria, da una malattia, da un evento naturale. Eppure, afferma con forza che, anche se l’universo lo schiacciasse, l’uomo resterebbe superiore – non per la sua forza, ma perché sa di morire. Egli pensa. E pensare significa prendere coscienza della propria condizione, guardare in faccia la verità, accettare la precarietà e da lì costruire una dignità nuova, che non ha bisogno di potere o dominio.
si illude di onnipotenza tecnologica, di controllo assoluto sulla realtà, sull’ambiente, persino sull’identità. Dall’altro, si vive un senso diffuso di smarrimento, di perdita di senso, di alienazione. La fragilità non è scomparsa ma è diventata invisibile, negata, nascosta. E il pensiero, spesso, è ridotto a strumento tecnico, funzionale, privo di profondità.


