Giorgio Gemisto Pletone (1355-1452) è stato uno dei pensatori più originali e visionari della tarda civiltà bizantina. Filosofo, teologo, legislatore e riformatore politico, rappresenta un caso unico: un neoplatonico nel cuore dell’Impero Bizantino morente, che tentò di risvegliare la Grecia non attraverso la tradizione cristiana ma recuperando Platone, la religione degli antichi e un ideale etico-politico profondamente ellenico. In un’epoca di decadenza, fu un intellettuale che pensava in grande. La sua opera fu insieme testamento filosofico e programma di rinnovamento per la sua patria. Non fu soltanto un teorico ma un vero costruttore di idee.
Pletone nacque a Costantinopoli ma visse a lungo a Mistra, nel Peloponneso, vicino l’antica Sparta, dove insegnò e scrisse la maggior parte delle sue opere. Il cuore della sua formazione fu la filosofia di Platone, letta e reinterpretata alla luce del neoplatonismo tardo-antico, in particolare di Proclo, Plotino, Giamblico e Simoneide.
A differenza di molti suoi contemporanei bizantini, che utilizzavano Aristotele come strumento per la scolastica cristiana, lo rigettò come pensatore “secondario”, incapace di cogliere l’unità e la gerarchia dell’essere. Per Pletone, solo Platone forniva una visione completa della realtà, dove l’ontologia, l’etica, la cosmologia e la teologia si integrano in un tutto armonico.
Nel suo pensiero, l’universo è una gerarchia di enti, disposti secondo gradi di perfezione. Al vertice è il Bene, principio ineffabile e trascendente, che emana tutto ciò che esiste. Gli dèi sono intelligenze divine, emanazioni ordinate del Bene, simboli di leggi cosmiche, non oggetti di culto superstizioso.
La proposta più radicale di Pletone si trova nel Νόμων συγγραϕή (Trattato delle Leggi), un’opera di difficile accesso perché in gran parte distrutta dopo la sua morte per ordine di Gennadio Scolario, primo patriarca di Costantinopoli sotto il dominio ottomano. Tuttavia, i frammenti sopravvissuti e le testimonianze indirette hanno permesso comunque di ricostruirne i contenuti principali.
Pletone progettava una religione filosofica ellenica, ispirata ai culti antichi ma depurata dalla mitologia popolare. Gli dei greci – Zeus, Apollo, Atena – non sono divinità antropomorfe ma princìpi eterni dell’ordine cosmico e il loro culto non è idolatria quanto una forma simbolica di connessione con le leggi razionali dell’universo.

La religione proposta da Pletone si basa su quattro elementi principali: la conoscenza del divino attraverso la filosofia (la filosofia è lo strumento privilegiato per avvicinarsi alla verità e al Bene); la pratica della virtù come forma di adorazione (essere virtuosi è più importante che credere in dogmi); la ritualità simbolica (riti di purificazione e preghiere nel mondo greco antico avevano funzione educativa e coesiva); l’educazione dei giovani alla filosofia e all’etica (l’uomo è un essere formabile e la paideia è la chiave della rigenerazione).
Questa religione – pur richiamandosi formalmente ai culti olimpici – non è una restaurazione pagana in senso stretto, piuttosto un platonismo etico-politico vestito di simboli ellenici. È un tentativo di sostituire il cristianesimo, che Pletone giudicava fonte di divisione, corruzione e servilismo.
Nel pensiero del filosofo, la religione non è separabile dalla politica. Come Platone nelle Leggi e nella Repubblica, anche lui concepisce una polis giusta, fondata su virtù, gerarchia e unità spirituale. Per Pletone, l’Impero bizantino era irrecuperabile perché corrotto, instabile e sottomesso a influenze straniere, soprattutto latine e turche.
Tra le riforme da lui proposte vi furono un’economia agricola autosufficiente, senza lusso, commercio eccessivo o banche straniere; la redistribuzione della terra, concessa in uso a famiglie contadine, per limitare le diseguaglianze; un’educazione statale filosofica, che formasse i futuri governanti secondo il modello del “re-filosofo”; un sistema religioso civile, dove il culto degli dèi fosse unificante e non divisivo; un esercito nazionale, basato sul servizio di leva obbligatorio, per liberare il popolo dalla minaccia ottomana.
Il suo modello politico non è democratico né assolutista: è una forma di aristocrazia filosofica, dove il governo è affidato ai più saggi, guidati dalla filosofia e dalla religione razionale. Il popolo, educato alla virtù e alla disciplina, deve essere partecipe ma non governante.
Nel 1439, Pletone venne inviato a Firenze come parte della delegazione bizantina al Concilio di unione tra Chiesa d’Oriente e Chiesa d’Occidente. Fu qui che la sua figura esplose nel contesto intellettuale occidentale.
Tra coloro che rimasero impressionati dalle sue lezioni ci fu Cosimo de’ Medici, il quale, da lui ispirato, decise di fondare l’Accademia Platonica a Firenze, affidandone la guida a Marsilio Ficino. Pletone non portò solo testi ma anche metodi e idee. Introdusse una concezione della filosofia come via spirituale, politica e morale, non solo come disciplina teorica.
Ficino, grazie a Pletone, tradusse e commentò Platone e Plotino, gettando le basi del neoplatonismo rinascimentale, che avrebbe influenzato pensatori come Pico della Mirandola, Giordano Bruno, Tommaso Campanella e persino Machiavelli (sebbene in chiave anti-platonica).
Dopo la sua morte, avvenuta poco prima della caduta di Costantinopoli, fu oggetto di venerazione e condanna. I suoi resti furono trasferiti a Rimini dal condottiero Sigismondo Malatesta, che lo considerava un santo pagano e volle che il suo mausoleo lo ricordasse come “il secondo Platone”.
Per la Chiesa ortodossa, fu un eretico. Gennadio Scolario bruciò molte sue opere e lo accusò di idolatria. Per l’Occidente, invece, fu l’uomo che riportò Platone in Europa. Nel tempo, fu visto anche come precursore di utopisti, socialisti premoderni e persino di certi esoterismi novecenteschi.
Oggi, gli studiosi tendono a riconoscerlo come una figura liminare che sfidò le categorizzazioni: non pagano ma non cristiano; non politico ma nemmeno puro filosofo; non teologo ma profondamente religioso. La sua forza sta proprio in questa sintesi: Platone come chiave per comprendere Dio, lo Stato e l’uomo, e la Grecia come modello spirituale ed etico da rifondare.
Gemisto Pletone fu un pensatore di rottura. In un mondo che stava crollando, sognò una nuova civiltà. Non si rifugiò nella nostalgia o nella teologia ma cercò nella filosofia la via per rinascere. Fu l’ultimo dei platonici antichi e il primo dei moderni. Il suo progetto di riforma totale – religiosa, etica, politica – resta uno dei più audaci della storia della filosofia.







La società aperta e i suoi nemici, pubblicata da Karl Popper in due volumi, tra il 1943 e il 1945, presenta una critica radicale al totalitarismo e difende con passione il valore delle società democratiche e liberali. La sua analisi si estende attraverso la filosofia, la storia e la politica, rendendola una pietra miliare nel pensiero del XX secolo.
La parte conclusiva dell’opera è dedicata alla difesa della società aperta, che Popper identifica con la democrazia liberale, interpretata non solo come un sistema politico, ma come ethos culturale che valorizza la libertà individuale, il pluralismo e il cambiamento progressivo attraverso metodi pacifici e razionali. La democrazia liberale è innanzitutto un processo. Non è statica né definita da una particolare configurazione istituzionale, ma è un sistema dinamico che consente il cambiamento e l’adattamento. Il filosofo critica le visioni utopiche che vedono la politica come ricerca di un ordine ideale e immutabile. Al contrario, asserisce che la società aperta sia caratterizzata da “una disposizione a imparare dall’errore”, qualità che permette alle società democratiche liberali di correggersi e migliorarsi continuamente. Eleva il concetto di tolleranza a principio fondamentale della società aperta, pur avvertendo contro il “paradosso della tolleranza”: infatti, la tolleranza illimitata può portare alla distruzione della tolleranza stessa, se si permette ai tolleranti di sfruttare la libertà offerta per sopprimere i diritti altrui. In una società aperta, la tolleranza richiede un equilibrio attivo, a cui i limiti sono posti per prevenire l’ascesa di forze intolleranti e autoritarie. Un aspetto risolutivo della democrazia liberale è costituito dall’importanza del disaccordo e del dibattito aperto. Popper sostiene che il progresso scientifico e sociale si verifichi per mezzo di un costante processo di congettura e confutazione, dove le teorie sono proposte, testate e spesso confutate. Analogamente, la democrazia deve operare attraverso un dialogo aperto e critico, in cui le politiche sono proposte, discusse e modificate in risposta ai giudizi e ai cambiamenti delle circostanze. Infine, pone una forte enfasi sui diritti individuali quale fondamento della democrazia liberale. La loro protezione non è solo una questione di giustizia legale o morale ma è essenziale per la creazione di un ambiente in cui gli individui possono pensare, esprimersi e agire senza paura di repressione, considerando ciò essenziale per il mantenimento di una società aperta e per il progresso continuo verso una migliore condizione umana.


